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Che cos’è un numero? (Parte 2)

Negli anni ’70, nel suo libro On Numbers and Games, il matematico John Horton Conway (1937-2020) presentò al mondo una nuova classe di numeri, i surreali, da lui inventati e battezzati così dall’informatico Donald Knuth. Il libro di Conway è noto attraverso l’acronimo ONAG, che in ebraico vuol dire piacere spirituale (עֹנֶג). Conway è stato uno dei matematici contemporanei più originali e profondi. Si è occupato di teoria dei gruppi, dei giochi, dei numeri, dei nodi. È stato un matematico eclettico, brillante e arguto, che non ha disdegnato mai nessun problema come poco nobile, nemmeno se originava dalla matematica ricreativa. A lui si deve anche un modello universale di calcolo, noto come gioco della vita, di cui abbiamo già parlato su Josway. Per dare un esempio della sua versatilità, ricordiamo che ha inventato un algoritmo di calcolo mentale per risalire da una data qualsiasi al giorno della settimana che le corrisponde (basato sul fatto che alcune date facili da ricordare come il 4/4, 6/6, 8/8, 10/10, 12/12 e anche il 25 aprile cadono tutte nello stesso giorno della settimana, il doomsday). Tristemente, Conway è morto di Covid-19.

Numeri, nel senso più generale possibile

Per sgomberare il campo da questioni tecniche dichiaro subito che i numeri surreali sono la più grande classe possibile di numeri, nell’universo degli insiemi, che estende tutte le classi di cui abbiamo parlato finora (v. articolo precedente), compresi gli infiniti e gli infinitesimi, ad esclusione degli immaginari e dei quaternioni, che però si possono aggiungere senza difficoltà. E, come dicono i logici, queste estensioni sono conservative ovvero si possono definire sui surreali operazioni di somma, differenza, prodotto, divisione, esponente, logaritmo, e quant’altro si può esprimere “ragionevolmente” sui numeri reali, in modo da conservare il valore che queste operazioni avrebbero se ristrette ai loro domini originali. Per esempio, la somma di due interi visti come surreali è il surreale corrispondente alla somma dei due interi, oppure il surreale corrispondente al quadrato del surreale corrispondente a π è il surreale corrispondente a π². Quindi abbiamo a disposizione tutti i numeri di cui disponevamo prima con tutte le loro proprietà, tra i surreali, ma possiamo dare senso in modo coerente a nuovi oggetti come l’infinitesimo 1/ω, oppure ad apparenti eccentricità numeriche come √(ω+1) + π/ω².

La risposta finale

Dunque i numeri surreali danno, forse, la risposta a finale alla nostra domanda fondamentale, da cui eravamo partiti: che cos’è un numero?

Un numero è un gioco

I numeri surreali trovano una naturale definizione nell’ambito della Teoria dei giochi (Image by Reinhold Silbermann from Pixabay).

I numeri surreali sono giochi. Ovviamente, sono giochi un po’ più stilizzati degli scacchi, del bridge, di Monopoly o di Carcassonne. L’ambientazione non ha importanza. I giochi in questione sono una versione astratta dei giochi deterministici a due persone con informazione perfetta. A informazione perfetta vuol dire che l’avversario è a conoscenza delle nostre possibili mosse. Si possono descrivere, come nella rappresentazione insiemistica dei numeri reali, da una coppia di insiemi: l’insieme S delle mosse ammesse per una giocatrice a sinistra e l’insieme D delle mosse ammesse per una giocatrice a destra. In ossequio a Conway, indicheremo tale coppia con {S|D}. A ogni turno, ogni giocatrice sceglie una mossa nell’insieme delle mosse che le competono, se questo non è vuoto. Se l’insieme di mosse a sua disposizione a un certo punto è vuoto, allora perde e l’altra giocatrice vince. Ma quali sono le mosse di questi giochi? Ecco uno dei colpi di genio di Conway: le mosse stesse dei giochi di Conway sono giochi, e precisamente quelli che si vengono a determinare una volta fatta quella mossa.

I numeri, nel senso più ampio del termine, sono giochi… Dei quali, a sua volta, ogni mossa è un gioco

Costruiti sul vuoto

Quindi, in analogia a quanto accadeva con gli insiemi, tutto l’universo dei giochi è fatto a partire da giochi le cui mosse sono giochi, le cui mosse sono giochi, e così via… E come con gli insiemi anche con i giochi, prima ancora di sapere che cos’è un gioco ne abbiamo già uno, quello vuoto. In questo gioco perde chi gioca per primo, vince chi gioca per secondo. E ancora, esattamente come per gli insiemi, anche per i giochi avviene che tutti i giochi sono costruiti a partire dal gioco vuoto. Tutti i giochi di Conway terminano quindi con la vittoria di una delle due giocatrici, perché prima o poi tutte le catene di mosse terminano sul gioco vuoto. Quindi, tali giochi hanno necessariamente una strategia vincente per una qualche giocatrice: se non ci fosse una strategia vincente, ogni giocatrice potrebbe sempre giocare quella mossa per la quale l’avversaria non ha una mossa vincente, e il gioco non terminerebbe mai.

Come con gli insiemi, anche i giochi si possono costruire a partire dal gioco vuoto

Strategie vincenti

Nell’universo di Conway ogni numero si può giocare. Se questo numero è uguale a 0, allora c’è una strategia vincente per la prima giocatrice (che può essere a destra o a sinistra), altrimenti per la seconda. E se questo numero è strettamente positivo c’è una strategia vincente per la giocatrice sinistra; se invece è strettamente negativo ce n’è una per la giocatrice destra.

Un esempio cinematografico

Come iniziazione ai giochi di Conway, si può partire dal celebre gioco del Nim che veniva giocato per ingannare il tempo nella città termale de L’anno scorso a Marienbad (L’Année dernière à Marienbad), il film diretto da Alain Resnais e sceneggiato dallo scrittore Alain Robbe-Grillet, che vinse il Leone d’oro a Venezia nel 1961.

Locandina del film “L’anno scorso a Marienbad” (1961), in cui i protagonisti giocano a Nim.

Con i fiammiferi

Il gioco del Nim è il seguente. Si dispongono delle righe di fiammiferi in parallelo, come avviene nel film. Quando è il proprio turno, una giocatrice toglie alcuni fiammiferi, anche tutti, ma da una riga soltanto. Vince chi non lascia più nessun fiammifero sulla tavola. (Veramente nel film si gioca la variante misère del gioco, ovvero quella nella quale perde chi prende l’ultimo fiammifero, che richiede un’analisi leggermente più complicata). La classica distribuzione di partenza ha 4 righe di 1,3,5 e 7 fiammiferi rispettivamente. La rappresentazione di Conway della configurazione iniziale del gioco del film è data da 1*+3*+5*+7*.

Quasi come numeri

Ovvero il gioco è espresso come la somma di 4 giochi, ciascuno corrisponde ad una riga. I numeri asteriscati sono i giochi:

0*={|}
1*={0*|0*}
2*={0*,1*|0*,1*}
3*={0*,1*,2*|0*,1*,2*}
4*={0*,1*,2*,3*|0*,1*,2*,3*}

Attenzione, questi non sono ancora i numeri surreali. In realtà, si tratta di numeri non in senso tradizionale (per questo di usano gli asterischi * per indicarli), in quanto non si sommano tra loro con le regole dei numeri naturali. Li chiameremo numeri star (*).

Dal gioco alla somma

Come ci si può facilmente vedere, in ciascuno di questi giochi corrispondenti ai numeri star le mosse per la giocatrice sinistra sono uguali a quelle della giocatrice destra. Facendo una mossa la giocatrice trasforma una riga in una riga più breve. Ovvero trasforma uno degli addendi del gioco somma in un altro. E come si definisce un gioco somma di due giochi G₁={S₁|D₁} e G₂={S₂|D₂}?

Il gioco somma G₁+G₂ ha una formula un po’ più complicata della somma diretta delle mosse. Nel caso del Nim, infatti, fatta una mossa ci si trova nel gioco ottenuto come somma delle righe intonse più quello della riga nella quale è stata trasformata la riga sulla quale si è intervenuti. Traducendo in formule, si ha:

G₁+G₂={s₁ + G₂, G₁ + s₂ | d₁ + G₂, G₁ + d₂} per tutti gli s₁∈S₁, s₂∈S₂, d₁∈D₁, d₂∈D₂

A somma zero

Questa somma si può calcolare esplicitamente, e nel nostro caso fornisce 1*+3*+5*+7*=0. Quindi c’è una strategia vincente per la seconda giocatrice, come è ben illustrato nel film.

L’idea di Conway

Tutto questo serve a dare un’idea dell’idea di Conway: ogni numero corrisponde a un gioco, i giochi possono essere composti e decomposti in modo da ottenere altri giochi, ovvero altri numeri, e se calcoliamo questi numeri opportunamente possiamo sapere se i giochi sono vincenti per la prima oppure per la seconda giocatrice.

Dai giochi ai numeri surreali

Quelli usati nel Nim sono giochi imparziali, come li chiama Conway, ovvero le mosse della giocatrice sinistra e quelle della giocatrice di destra sono uguali. Ci siamo serviti di questo esempio solo a scopo introduttivo. I numeri surreali, invece, nascono quando ciò non accade. In realtà non tutti i giochi di Conway corrispondono a numeri surreali, ma solamente quelli per i quali ogni mossa per la giocatrice di sinistra è minore di quelle della giocatrice di destra. Non entriamo qui nella definizione di minore, perché è un po’ uno scioglilingua. Basta saperlo, e basta sapere che la regola della somma è sempre la stessa che abbiamo già dato e che vale giù in generale per tutti i giochi.

Trattini e alberelli

Arriviamo ora ai numeri surreali. Per raffigurarli, è utile fare riferimento a un altro gioco inventato sempre da Conway, il gioco di Hackenbush, che è una generalizzazione di quello del Nim. In figura è presente una possibile configurazione iniziale.

Ogni alberello bicolore è ancorato al bordo tratteggiato. A ogni mossa la giocatrice rossa, quella di sinistra, può togliere un trattino rosso e quella nera, di destra, un trattino nero. Perde chi non ha più trattini del proprio colore da togliere. Attenzione però, se si toglie un trattino si rimuovono anche tutti quelli che rimanevano ancorati al bordo tratteggiato grazie a quel trattino. Chi ha una strategia vincente nella configurazione iniziale del disegno? Accanto a ogni trattino compare un numero. Questo è il numero surreale che corrisponde al valore di quella mossa. Come si calcolano questi numeri è un po’ laborioso. Cerchiamo di darne un’idea.

Il significato dello 0

Questo gioco corrisponde a {|}=0, ovvero né la giocatrice rossa né quella nera possono muovere, vince chi va per secondo;

Il significato dell’1

Questo gioco corrisponde a {0|}=1 ovvero la giocatrice rossa può fare una mossa la nera no; vince la rossa sia che vada per prima che per seconda;

Il significato del -1

Questo gioco corrisponde a {|0}=-1 ovvero la giocatrice nera può fare una mossa la rossa no; vince la nera sia che vada per prima che per seconda;

Il significato di 1/2

Questo gioco corrisponde a {0|1}=1/2 ovvero la giocatrice nera può fare una mossa che ne lascia una alla rossa mentre la rossa ne può fare una che non ne lascia alla nera. Vince la rossa sia che vada per prima che per seconda.

Il significato di 3/4

Corrisponde a {1/2 |1}=3/4 ovvero la giocatrice nera può lasciare il gioco 1 mentre la giocatrice rossa può lasciare la nera senza mosse oppure una situazione 1/2. Vince di nuovo la rossa sia che vada per prima che per seconda.

Come ritrovare gli altri numeri

Possiamo così, più in generale, trovare i numeri naturali 1={0|}, 2={1|}, 3={2|}… Poi i numeri negativi -1={|0}, -2={|-1}, -3={|-2}… E i razionali 1/2={0|1}, 1/4={0|1/2}, 3/4={1/2|1}…

Come calcolare il disegno generale? Il valore del gioco costituito da più alberelli attaccati al bordo è la somma algebrica dei valori di ogni singolo alberello. Il modo di calcolare il valore di ogni singolo alberello è più laborioso. Gli esempi elementari dati possono però essere sufficienti a darne un’idea. Comunque il valore del disegno in figura è 5/64, dunque vincono i rossi.

Dall’infinitesimo all’infinito

Ci sarebbe ancora moltissimo da dire sui numeri surreali, ma mi costringerebbe a riscrivere i primi capitoli di ONAG, e non vorrei incorrere nel plagio. Mi limito pertanto a dare la rappresentazione del più semplice gioco infinito ω={0,1,2,…,n,…|} nonché del suo successore ω+1={0,1,2,…,n,…,ω|} e predecessore ω-1={0,1,2,…,n,…|ω}. Concludo quindi consapevole di aver fatto vedere solo una parte così piccola dell’universo surreale, che la definirei con il gioco {0|1, 1/2, 1/4, 1/8, 1/16…}.

Indovinate chi è? È il gioco infinitesimo.

Nella tela del ragno (parte 3)

Nelle precedenti puntate (1 e 2) abbiamo parlato della ragnatela come strumento per cacciare. In realtà la seta prodotta dai ragni è un materiale multiuso. Certamente è utile per intrappolare ogni genere di insetti, ma può servire a costruire un rifugio, a proteggere le proprie uova, a sollevarsi in volo e anche per fare sesso. I maschi dei ragni, infatti, non hanno un organo copulatore presente all’estremità dell’addome come i loro colleghi insetti; ma producono un minuscolo velo di seta, la cosiddetta “tela spermatica”, all’interno della quale raccolgono il proprio seme, emesso da una cavità dell’addome. Subito dopo lo “aspirano” all’interno dei pedipalpi, il primo paio di appendici attorno al capo che, tra le altre cose, hanno la funzione di introdurre lo sperma nel corpo della femmina. A questo punto lui è pronto a entrare in azione, ma… c’è un problema non da poco: le femmine sono quasi sempre più grandi, forti e aggressive (v. foto sotto), perché devono produrre molte e uova e proteggerle. E quindi un pretendente non può pensare di avvicinarsi a una possibile compagna, che è un’ottima cacciatrice, senza prendere adeguate contromisure.

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Una coppia di Nephila ianurata. Il maschio (appena visibile) è molto più piccolo della femmina (F. Tomasinelli).

Amore, posso suonarti la tela?

Alcuni ragni fanno spettacolari parate di corteggiamento, simili a quelle degli uccelli, ricorrendo a colori e danze articolate, per farsi riconoscere. Il campioni di questa disciplina sono i ragni saltatori australiani del genere Maratus, conosciuti come ragni pavone. Altri ancora, tra cui le grandi migali tropicali, tambureggiano sul terreno con i pedipalpi, con sequenze precise, tipo codice Morse, che consentono ai partner di riconoscersi. Anche in questo caso la ragnatela in può diventare uno strumento ideale per comunicare. I maschi di molte specie, tra cui il nostro ragno crociato (Araneus didadematus), si avvicinano alla trappola della potenziale compagna e suonano alcuni raggi come le corde di una chitarra. Se l’accordo è giusto, la femmina risponde e lui si fa avanti per fecondarla.

Jumping spider courting female
Maschio di ragno saltatore Phileus chrysops che corteggia la femmina con una danza e i colori accesi (F. Tomasinelli).

Regali e pacchi

Chi non ha una “ragnatela da suonare” deve essere più creativo.  Per fare buona impressione il maschio di Pisaura mirabilis, un ragno che caccia senza tela, comune anche in Italia, porta alla femmina un regalo di nozze, sotto forma di una piccola preda, rivestita da un sottile velo di seta bianca. Lei lo esamina e si concede, se il regalo è di alto livello. Capita spesso, però, che il maschio, subito dopo l’unione, cerchi di riprendersi il dono – e a volte ci riesce pure – per andare a corteggiare un’altra femmina. Si è anche osservato che, se le prede sono scarse, lui non si preoccupa neanche di confezionare un vero regalo: fa una pallina di terra, la fascia per bene e la offre alla femmina: un vero “pacco”, che la femmina ovviamente non apprezza. L’accoppiamento, però, richiede meno di un minuto quindi è facile che il maschio ingannatore riesca a scamparla. Sembra incredibile che un ragno possa fare qualcosa di così “umano”. Ma anche questo, come la costruzione delle trappole più complesse, è un comportamento con forti basi genetiche: il giovane maschio non deve imparare niente: alla nascita sa già che cosa deve fare per incantare le femmine della sua specie.

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Maschio di Pisaura mirabilis con preda appena catturata, che diventerà un dono nuziale (F. Tomasinelli).

Subacqueo

Davvero con la tela i ragni fanno di tutto, compresa la costruzione di ricoveri e nidi, anche sott’acqua. Come il ragno palombaro (Argyroneta aquatica) che vive solo negli stagni in Europa e non ha eguali in nessun’altra parte del mondo. Per sopravvivere e cacciare nell’elemento liquido questo ragno ha bisogno di uno stratagemma per poter respirare, visto che non è dotato delle branchie come i pesci. Così raccoglie l’aria in superficie e la conserva in una stupefacente struttura che è l’equivalente della campana dei sommozzatori. In pratica costruisce tra la vegetazione acquatica un’elaborata opera di ingegneria, la cui struttura portante è costituita dalla seta che viene assicurata alla vegetazione sommersa. Una volta ultimato il telaio della sua futura tana, il ragno compie più viaggi verso la superficie non solo per respirare, ma anche per prelevare bolle d’aria con l’addome; queste, una volta intrappolate dalla peluria, vengono portate al di sotto della tela e rilasciate con l’ausilio delle zampe posteriori, fino a formare un involucro di 2-3 centimetri di diametro, tale da poter ospitare comodamente il ragno al suo interno.

European diving spider
Ragno palombaro Argyroneta aquatica immerso con la sua riserva di aria personale sull’addome (F. Tomasinelli).

In agguato

Ci si potrebbe chiedere quale possa essere il vantaggio per il ragno nel costruire una struttura così complessa: non sarebbe più pratico andare più spesso in superficie a prelevare aria? Ricerche recenti hanno messo in luce le straordinarie capacità della campana, che funziona come una vera e propria “branchia fisica”, permettendo scambi gassosi tra questa e l’acqua circostante. L’ossigeno è infatti molto più “incline” a dissolversi nell’aria piuttosto che nell’acqua, quindi la presenza della bolla sommersa permette di avere un continuo seppur limitato apporto di ossigeno dall’acqua alla campana, estendendo la capacità del ragno di sostare nella sua tana. Con meno viaggi, inoltre, si riduce il rischio di predazione da parte di pesci e grandi insetti aquatici. A questo punto Argyroneta non deve fare altro che stare immobile, con le zampe protese fuori dalla campana, in agguato. Qualsiasi vibrazione tramessa dall’acqua viene avvertita dal predatore, pronto ad avventarsi su crostacei, girini, larve di insetti che costituiscono la sua dieta.

Garden spider sensing silk lines on web
Ragno crociato Araneus diadematus che controlla le vibrazioni sulla tela con una zampa (F. Tomasinelli).

Come un aquilone

Dall’acqua all’aria: le tela può anche essere utile per volare. I ragnetti appena nati di molte specie che cacciano con le trappole si posizionano in punti esposti al vento e producono un lungo filo di seta. Così lungo da funzionare come un aquilone, che solleva il ragno in aria e lo traporta su lunghe distanze, a volte anche per chilometri. È questo il motivo per cui a volte troviamo piccoli ragni in luoghi inattesi: sulla cima delle montagne, in piccoli isole distanti dalle coste, su una barca in mezzo al mare. Il “volo a vela” è un sistema di dispersione che consente di colonizzare nuovi spazi e allontanarsi in fretta dal luogo di nascita, riducendo la competizione con fratelli e sorelle.

Ha collaborato Emanuele Biggipredatori_microcosmo

Link e approfondimenti
• Il libro Predatori del microcosmo (Ed. Daniele Marson, 2017) di Emanuele Biggi e Francesco Tomasinelli. Con le variegate e sorprendenti strategie di sopravvivenza di insetti, ragni, piccoli rettili e anfibi.
• Una pagina del sito Arachnopilia.net di Tomás Saraceno, con alcuni suoni di varia natura prodotti dai ragni, e registrati con tecniche avanzate di sonificazione.
• Il video, frutto di uno studio del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Cambridge su iniziativa di Tomás Saraceno, che traduce in suoni le vibrazioni di una ragnatela.

Grandi patriarchi 5. Grande saggio, nonno faggio

Il faggio di Pontone

Età stimata: plurisecolare
Faggio (Fagus sylvatica Linné)
Comune: Villetta Barrea (Aq), località Passo Godi
Circonferenza del tronco: 8,60 m. Altezza: 24 m.

Questo faggio cresce nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise all’interno di una fitta faggeta in località Pontone, luogo raggiungibile percorrendo la strada che unisce Villetta Barrea a Scanno in prossimità del Passo Godi. La sua individuazione non è difficile, trovandosi ad appena cinque minuti di cammino dalla strada asfaltata lungo un sentiero che si inoltra nel bosco. L’enorme tronco è probabilmente originato da più fusti cresciuti dalla medesima e vecchia ceppaia e poi intimamente saldatisi fra loro con la progressiva crescita. La caratteristica di questa specie e di altre essenze forestali come il castagno, il carpino e alcune querce, è infatti quella di emettere “polloni” come risposta al taglio, ossia rami che si sviluppano direttamente ai piedi dell’albero, a volte anche direttamente dalla radice. L’età è di difficile determinazione, ma potrebbe essere di almeno alcuni secoli. Nelle sue vicinanze altri grossi faggi, secolari, ma più giovani del grande Patriarca vegetale, attendono di sostituire il colossale albero che è probabilmente il “padre” e il “nonno” di tutti i faggi di questa porzione del bosco.

(Articolo tratto dalla mostra “Patriarchi della natura – Alberi straordinari d’Italia”. Ideata e curata da Fondazione Bracco e Associazione Patriarchi della Natura, e ospitata da Triennale Milano dal 14 luglio al 22 agosto 2021, la mostra fotografica – a ingresso libero – propone un itinerario da Nord a Sud nell’Italia più verde, alla scoperta di stupefacenti opere d’arte naturali: alberi secolari o millenari, testimoni della nostra storia)

Link e approfondimenti
• Il catalogo della mostra.

Il volo dello sciamano all’origine dell’arte

Le pitture rupestri preistoriche sono all’origine dell’arte, ma il loro significato è dibattuto. Negli ultimi anni è diventata prevalente l’idea che fossero manifestazioni magico-religiose. Anche in Africa, come in Europa, le più antiche pitture hanno 30 mila anni. E i boscimani (o san) che tuttora vivono in Botswana e in Sudafrica, e che le hanno realizzate fino a tempi relativamente recenti, hanno perso tuttavia la memoria dei loro significati. Ora un gruppo di studiosi sudafricani dell’Università di Witwatersrand (Johannesburg) sta riesaminando le pitture del massiccio montuoso del Maloti-Drakensberg, in Sudafrica e Lesotho, realizzate in un periodo che va da circa 3000 anni fa fino al 1800. Arrivando a una prima conclusione: volevano raffigurare il viaggio degli sciamani nel mondo degli spiriti. 

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Una raffigurazione – probabilmente uno sciamano – divenuta celebre come “White Lady”, in Namibia (F. Tomasinelli).

Significato nascosto

«Abbiamo riesaminato il sito di uKhahlamba-Drakensberg (numero inventario RSA CHI1) descritto per la prima volta negli anni Cinquanta», spiega a Josway l’antropologo David Pearce. «A prima vista, il dipinto del soffitto del riparo nella roccia sembra una confusa collezione di rappresentazioni di antilopi e figure umane, in rosso, giallo ocra e bianco». Per fortuna, l’artista sudafricano Stephen Townley Bassett aveva  prodotto diversi anni fa un rilievo del soffitto che permettesse una valutazione in laboratorio più “comoda” e precisa. «Così abbiamo visto che l’importanza di alcune immagini del soffitto erano sfuggite ad altri ricercatori e ne abbiamo scoperto il significato», racconta Pearce.

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Il massiccio del Maloti-Drakensberg, in Sudafrica. È qui che si sono svolte le ricerche (cc0 1.0).

Antilope sacra

Così come un ricercatore di un’altra civiltà dovrebbe conoscere il Vangelo per capire il significato dell’Ultima Cena di Leonardo, bisogna riferirsi alle credenze dei San per decifrare la pittura dei loro antenati. «Sappiamo dall’etnografia che i San credono in due regni spirituali, al di sopra e al di sotto del livello in cui vivono le persone. E che l’antilope eland (genere Taurotragus) è presente in diversi rituali poiché considerata la creatura con il maggior numero di !gi: – la parola della lingua San per l’essenza o energia invisibile che si trova al centro delle loro credenze».

Nel sito RSA CHI1 ci sono molte figure di eland, ma i ricercatori sudafricani si sono concentrati su una in cui la testa è nettamente sollevata. «La testa sollevata dell’eland», spiega Pearce «suggerisce che sta annusando qualcosa, molto probabilmente la pioggia. Sia l’odore che la pioggia sono potenti elementi sovrannaturali nel pensiero dei San». Fra i poteri degli sciamani San, c’è anche quello di favorire la pioggia per porre termine ai periodi di siccità.

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Raffigurazioni rupestri di antilopi, di cui una con la testa sollevata, nel sito di uKhahlamba-Drakensberg, in Sudafrica (Rock Art Research Institute, University of the Witwatersrand).

Passaggio per l’altro mondo

La chiave interpretativa della pittura è tuttavia una linea dipinta che risale da un’area di roccia grezza, interrompendosi con le zampe anteriori dell’eland, e che poi continua in un’altra area di roccia grezza.  Sia la testa alzata che la linea enfatizzano il contatto con un’altra dimensione.

Il modo in cui la linea dipinta emerge e prosegue in aree di roccia grezza rende l’idea di un filo, una corda o un raggio di luce che possa entrare e uscire dalla parete rocciosa attraverso fessure, piccoli gradini e altri dislivelli. Ma che cosa c’era dietro la parete rocciosa secondo gli artisti boscimani di un tempo?

Nel regno degli spiriti

C’era il regno degli spiriti. Se l’universo San è diviso in diversi regni, il contatto tra questi veniva rappresentato da lunghe linee che collegano le immagini o talvolta sembrano passare attraverso la parete rocciosa. Gli sciamani nei riti reali pensano in stato di trance di muoversi “fuori dal corpo” mentre viaggiano tra i “regni” per curare i malati, far piovere e svolgere altri compiti. Prima ottengono l’energia necessaria dall’antilope eland, evocandola in diversi modi.

volo sciamanico
Il volo sciamanico di una creatura fantastica con testa di antilope e aspetto di uccello, sempre nel sito di uKhahlamba-Drakensberg (Rock Art Research Institute, University of the Witwatersrand).

«Nella pittura esaminata, la linea che attraversa i regni è confermata nella sua funzione dalle tre creature raffigurate che si muovono lungo di essa», spiega Pearce. «Le due che si muovono verso l’alto, in uscita, rispettivamente un quadrupede e un individuo con coda e braccia umane, possono rappresentare le metamorfosi che gli sciamani affermano di sperimentare durante i viaggi fuori dal corpo».

Come un uccello in volo

La creatura bianca che pure si muove lungo la linea, ma di ritorno, è simile a un uccello ed evoca il “volo sciamanico”. A un’ispezione più attenta ha rivelato testa di rhebok (antilope capriolo) con corna, naso e bocca neri. Ha le ali, perciò è un ibrido: in parte antilope e in parte uccello. Inoltre, ha due linee bianche che escono dal lato posteriore del collo. È proprio da questo punto che durante i riti di guarigione gli sciamani espellono il male prima estratto da un malato.

Conclusione: con una sicurezza simile a quella con cui comprendiamo il significato della raffigurazione di un ex voto in una chiesa, oggi possiamo dire che la pittura rupestre RSA CHI1 dei Drakensberg descrive un viaggio sciamanico, terminato con la guarigione di una persona molto malata. Un evento da ricordare.

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Un’altra pittura San nel Drakensberg, in Sudafrica (F. Tomasinelli).

Immersi nel suono in 3D

Alcuni recenti interventi su Josway ci portano a riflettere su come il nostro cervello costruisce l’idea di spazio, e in particolare quella di spazio sonoro. In un suo recente concerto ispirato ai ragni e alle onde gravitazionali, l’artista argentino Tomás Saraceno ha chiesto agli ascoltatori di usare un buon paio di cuffie per godere a pieno della tridimensionalità dell’audio. Questa particolarità mi ha riportato alla mente una vecchia vicenda, che può servire da spunto per esplorare il tema in modo più ampio. 

Sperimentato dai Pink Floyd

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Microfono Neumann Ku100 “Dummy Head”, che simula la fisionomia umana per registrare il suono in 3D. Una tecnica detta “binaural rendering” (Foto E.J. Posselius).

La vicenda riguardava uno strumento di registrazione chiamato holofono, sviluppato dal produttore discografico italiano Umberto Maggi, ex musicista dei nomadi, e dall’ingegnere elettronico argentino Hugo Zuccarelli. Questo strumento era in grado di registrare i suoni in modo da poterli riascoltare in cuffia restituendo fedelmente la percezione di tridimensionalità. L’efficacia della tecnica, secondo gli inventori, si poteva misurare in base al fatto che – sempre in cuffia – l’ascoltatore era in grado di collocare tali suoni nello spazio, esattamente come se si fosse trovato con la sua testa al posto del microfono nel momento della registrazione. Togliendo le cuffie o usando tecniche meno sofisticate, come il Dolby Surround System, l’effetto di tridimensionalità si sarebbe perso, e il cervello avrebbe collocato la sorgente sonora all’interno della testa. L’idea, suggestiva, ebbe un certo successo per alcune produzioni di nicchia come l’album The Final Cut (1982) dei Pink Floyd. Ma non conquistò mai il mercato di massa.

Indizi percettivi

Tornando a oggi, le sonorità del concerto di Tomás Saraceno ricordano da vicino quelle dello strumento di Maggi e Zuccarelli e di altre tecniche di registrazione “binaurale”, che letteralmente vuol dire “a due orecchie”. Ma, più che gli aspetti tecnici, quello che interessa è il principio: come funziona, a livello cerebrale, il nostro apparato uditivo, e come facciamo a collocare un suono nello spazio? «In generale, quello che ci dà la percezione di tridimensionalità del suono sono alcuni indizi (cues) che il cervello è in grado di decifrare», risponde Monica Gori, responsabile del gruppo di ricerca U-VIP (Unit for Visually Impaired People) dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova. «Gli indizi sono: il ritardo con cui il suono arriva all’orecchio più lontano, le differenze di intensità tra le due orecchie e la struttura del padiglione articolare. I primi due servono per soprattutto per posizionare la sorgente sul piano orizzontale, mentre il terzo è importante per stabilire l’altezza lungo l’asse verticale. Poi ci sono anche altri fattori, come la struttura della testa e perfino del resto del corpo, dato che entrambi interferiscono su come il suono arriva alle nostre orecchie». Per questo, se tramite una registrazione o un ambiente virtuale ci giunge un suono che non è coerente con queste caratteristiche, la collocazione spaziale va in tilt: «In questi casi, il cervello colloca il suono all’interno della testa», spiega Davide Esposito, giovane bionico dello stesso gruppo di ricerca.

Davanti o dietro?

Per il nostro cervello, le difficoltà principali sono due: 1) distinguere tra ciò che si trova di fronte e ciò che si trova dietro e 2) localizzare la sorgente sonora sull’asse verticale. Entrambe queste componenti, infatti, dipendono dalla nostra fisionomia, e il cervello impara a distinguerle in base all’esperienza, un po’ come farebbero i moderni algoritmi di intelligenza artificiale. Come avvenga esattamente il processo di apprendimento non è ancora del tutto chiaro, ma secondo Gori è molto influenzato dalla visione, che è la modalità principale con cui percepiamo lo spazio che ci circonda. «I vedenti si basano soprattutto sulle informazioni visive, e sono più bravi a individuare un suono che si origina davanti a loro pittosto che uno che proviene da dietro», chiarisce Gori. «Per un non vedente, invece, sia il fronte sia il retro sono difficili da capire».

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Il laboratorio del gruppo del gruppo di ricerca U-VIP (Unit for Visually Impaired People) dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova.

Lo spazio acustico e quello visivo, dunque, sono di per sé distinti, anche se noi tendiamo a integrarli in un unico spazio percettivo. Questo vale, però, solo per gli adulti. «Il nostro gruppo di ricerca è stato il primo a dimostrare che il bambino fino agli 8-10 anni di età non integra le informazioni multisensoriali, ma le tiene separate», spiega Gori. Per questo con i bambini funziona l’”effetto ventriloquo”: se li mettiamo davanti a un pupazzo simulando una conversazione, i bambini ci cascano, e pensano che sia davvero il pupazzo a parlare. Questo accade perché nel bambino c’è una forte attrazione visiva. Nell’adulto, invece, le due componenti sono integrate, quindi gli adulti sono più bravi a identificare la vera sorgente del suono. «Sono convinta che, durante lo sviluppo, la visione abbia un ruolo preponderante», continua Gori. «Quindi, secondo me, lo spazio acustico tridimensionale che percepiamo è molto legato alla conoscenza visiva che abbiamo dell’ambiente. Lo spazio acustico di un non vedente è molto diverso».

Come affacciarsi a una finestra

Monica Gori
Monica Gori, responsabile del gruppo di ricerca U-VIP dell’IIT di Genova.

Un mito da sfatare riguarda il fatto che i non vedenti siano più bravi di noi a collocare suoni nello spazio. «In realtà non è così», spiega Gori: «i non vedenti sono svantaggiati in molti casi perché non possono servirsi della visione, e percepiscono un mondo tridimensionale diverso dal nostro. Spesso commettono errori. Se devono localizzare un suono singolo, ci riescono; ma di fronte a situazioni complesse, come tre persone che parlano intorno a un tavolo, sono molto confusi. Per questo, nel nostro laboratorio abbiamo realizzato un muro di casse che producono suoni spazializzati: per una persona non vedente questa spazialità è molto importante, è come affacciarsi alla finestra».

La matematica è un gioco

Queste ricerche trovano applicazione nell’ideazione di nuovi strumenti educativi per i più piccoli. «Le applichiamo ai bambini delle elementari, per creare nuovi dispositivi per l’apprendimento», dice Gori. «Con il progetto #WeDraw, abbiamo sviluppato tecnologie tridimensionali che integrano suoni e informazioni visive per insegnare la matematica (gli angoli, le frazioni, il piano cartesiano). E poi lavoriamo tantissimo con la disabilità visiva, soprattutto nei primi anni di vita. Abbiamo appena lanciato un progetto per insegnare ai bambini non vedenti a raggiungere e a manipolare gli oggetti (di solito lo fanno molto più tardi). E abbiamo sviluppato braccialetti sonori come ABBI che permettono loro di ascoltarsi l’un l’altro. Così riescono a capire dove sono, e perfino a giocare».

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Una moderna barra per la registrazione di suoni, costituita dalla combinazione di quattro moduli base. Questa tecnica “plenacustica” permette di costruire uno spazio sonoro interattivo (Musical Acoustics Lab / Politecnico di Milano).

Ambienti navigabili

Tornando al suono 3D, la nuova frontiera della ricerca si è spinta ben oltre il vecchio ascolto binaurale. Ora si punta addirittua a ricreare uno spazio sonoro non più limitato a una posizione fissa, ma al variare della posizione virtuale dell’ascoltatore. Augusto Sarti, docente del Politecnico di Milano che da anni sviluppa sistemi di questo tipo, spiega: «Per rendere interattiva (navigabile) una registrazione 3D non basta ricostruire il campo acustico in un punto specifico, ma occorre ricostruirlo in tutti i punti di interesse nello spazio. Questo, in linea di principio, può essere ottenuto facendo uso di tante schiere sferiche disposte nello spazio, ma in tal modo i tempi di calcolo crescerebbero in modo incontrollato. Esiste però una metodologia chiamata “cattura plenacustica”, sviluppata dal Politecnico di Milano, che consente la registrazione di un intero campo acustico facendo uso di schiere più estese di microfoni (v. figura sopra). Sono schiere di 16 microfoni MEMS, lunghe 50 cm ciascuna, e combinabili a piacere come blocchi di Lego, fino a formare schiere di 128, 256, o addirittura 1.024 microfoni. Il principio è simile a quello delle camere Lytro (che sono costituite da schiere di micro-fotocamere con microlenti), ma qui implementato in molto molto più efficiente. Le camere plenacustiche consentono la navigazione interattiva del campo acustico – cioè muovendosi liberamente nella scena – e consentono persino di avvertire la presenza di ostacoli come oggetti o muri». 

 

Link e approfondimenti

• Monica Gori all’IIT di Genova, un suo TEDx e il progetto MySpace.
• Un articolo sulle tecniche binaurali.
• Il sito di Hugo Zuccarelli.
• Il progetto europeo WeDraw.
• Il progetto ABBI – Audio Bracelet for Blind Interactions.
• Una galleria di quadri e opere “multisensoriali” (3D a rilievo per non vedenti) di Monica Gori.
• Gli olofoni di Michelangelo Lupone.
• Il Musical Acoustics Lab del Politecnico di Milano, all’interno del Museo del Violino di Cremona. 
• Un più recente articolo sugli ambienti sonori e la localizzazione dei suoni.