Che cos’è un numero? (Parte 1)

Prima tappa di un viaggio nella matematica guidati da una domanda senza tempo, che – attraverso infinti, infinitesimi e tante sorprese – trova nella teoria dei giochi la sua risposta definitiva.

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Che cos’è un numero? (Parte 1)

Prima tappa di un viaggio nella matematica guidati da una domanda senza tempo, che – attraverso infinti, infinitesimi e tante sorprese – trova nella teoria dei giochi la sua risposta definitiva.

Condividiamo la capacità di contare con scimpanzé, ma anche con piccioni e topi – così almeno vengono interpretati gli esperimenti di zoopsicologia cognitiva descritti da Stanislas Dehaene. Ma che cos’è un numero? E che cosa qualifica un aggettivo numerale come “tre” nella frase “Ci sono tre alberi fioriti in giardino”?

Oggetti e insiemi

Il fatto che la risposta non sia così immediata ha provocato molti paralogismi nella storia della filosofia sin dal medioevo. Sant’Anselmo era convinto di poter dimostrare addirittura l’esistenza di Dio solamente dal fatto di poter concepire Id quo nihil maius cogitari nequit (ciò di cui non si può pensare nulla di più grande). Il suo ragionamento era questo: poiché riusciamo a concepire tale ente perfettissimo allora tale ente non potrebbe non essere, perché altrimenti non sarebbe perfettissimo. Quindi Dio esiste. Fino a quando Kant non fece uscire la mosca da questa trappola linguistica, per dirla con Wittgenstein, non fu chiaro che l’esistenza di un oggetto, o più in generale il numero di volte che tale oggetto compare, non è un predicato dell’oggetto stesso, bensì del nostro universo del discorso, ovvero dell’insieme di oggetti di cui stiamo parlando. Se ci sono tre alberi fioriti in giardino, tre non è una proprietà degli alberi, ma semmai del giardino, anche se grammaticalmente l’aggettivo tre qualifica gli alberi esattamente come fioriti”.

Da Kant in poi, su questo punto c’è piena concordanza; l’esistenza e più in generale il numero, non sono una proprietà di un oggetto, ma di un insieme.

Gli insiemi sono le cose?

Sembrerebbe quasi di aver fatto un passo indietro però; volevamo definire cos’è un numero e ci ritroviamo a dover spiegare cosa sono gli insiemi. Ma questo non deve stupire: da oltre un secolo, gli insiemi sono la roccia su cui si fonda la matematica. Piccola parentesi: il filosofo-drammaturgo e attivista politico maoista francese Alain Badiou, in L’Être et l’Événement (1988), ha mostrato come ci si possa addirittura fondare sopra l’ontologia (cioè ciò che è). Anzi, per Badious, la teoria degli insiemi è l’ontologia.

Autoinclusivi

Un insieme viene generalmente definito come una collezione di oggetti, detti i suoi elementi; tra i quali possono esserci anche altri insiemi. Il mio esempio preferito è “l’insieme di tutte le cose alla quali ho pensato oggi” (da notare come questo insieme appartenga a se stesso, e proprio per questo spesso venga scartato. Incidentalmente, circa 40 anni fa, sono stato tra i primi a riscattare gli “insiemi malfondati” – come si chiama questa tipologia – che oggi hanno un ruolo importante nell’informatica teorica).

La matematica, un abisso costruito sul vuoto

Anche se può sembrare un po’ circolare, prima ancora di dover dire che cos’è un insieme ne abbiamo già davanti al naso uno: l’insieme vuoto, denotato ∅.

Cantor
George Cantor, padre della moderna concezione matematica di infinito (Photocolorization, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons).

I logici del ’900 hanno mostrato che tutto l’edificio della matematica si può costruire sull’insieme vuoto reiterando un numero sufficiente di volte, anche infinito, alcune operazioni apparentemente banali, tra cui quella che dà come risultato tutti i sottoinsiemi di un insieme dato. Ogni oggetto matematico, quindi, può essere visto come un insieme, i cui elementi eventualmente sono degli insiemi, i cui elementi eventualmente sono degli insiemi ecc… E tutte queste catene di appartenenze, se terminano, terminano sull’insieme vuoto. Forse fu questa visione che spinse il padre della moderna Teoria degli Insiemi Georg Cantor (1845-1918) a rispondere alla domanda su che cosa fosse per lui un insieme, con la frase un po’ misteriosa: Eine menge stelle ich mir vor wie einen Abgrund (“Mi raffiguro un insieme come un abisso”). Almeno così racconta la matematica Emmy Noether (1882-1935) nel libro Wandlungen des mathematischen Denkens: Eine Einführung in die Grundlagenprobleme der Mathematik di Herbert Meschkowski del 1956.

Un numero è un insieme

Dunque, se ogni cosa (come dice Badiou) si può vedere come un insieme ottenuto a partire dal vuoto, alla domanda “Che cos’è un numero?” possiamo rispondere che un numero è un insieme.

Una nuova definizione

Per Bertrand Russell, i numeri erano le classi di tutti gli insiemi che avevano lo stesso numero di elementi. Ovviamente, per non avere un regresso all’infinito, definì la relazione “avere lo stesso numero” tra due insiemi come una corrispondenza biunivoca tra i loro elementi. Così, per Russell, il numero 1 è la classe di tutti i singoletti, ovvero degli insiemi che contengono un unico elemento. Il 2 è la classe di tutte le coppie, ecc. Ma queste sono collezioni troppo grandi e proprio il paradosso scoperto da Russell stesso rende la cosa alla lunga impraticabile.

Una definizione migliore

Il prodigio matematico John von Neumann, quando agli inizi del XX secolo si occupò anche di insiemi, quindi, scelse per rappresentare i numeri un ben preciso rappresentante di ciascuna di queste classi di Russell. Lo zero è rappresentato da ∅. Gli altri numeri sono 1={∅}, 2={0,1} e così via. L’operazione per ottenere il numero successivo consiste nell’aggiungere all’insieme di numeri costruito fino a un certo punto, proprio tale insieme come nuovo elemento, ovvero n+1={0,… , n}=nU{n}. Se poi raccogliamo tutti gli insiemi così costruiti, ripetendo questa operazione all’infinito, arriviamo al più piccolo ordinale infinito ω={0,… , n,… }.

Avanti, senza ritegno

E adesso possiamo andare oltre, con ω+1=ωU{ω}, ω+2=ω+1U{ω+1}… senza più alcun ritegno… ω^ω (e poi altri ordini di infinito come ℵ₀, 2^ℵ₀, ℵ₁ ℶ₁ ecc.). Questi insiemi si chiamano numeri ordinali di von Neumann. Soddisfano la proprietà che comunque se ne prenda un insieme ne troviamo sempre un minimo che gli appartiene. Purtroppo sugli ordinali infiniti non si riescono a definire tutte le operazioni, ma ben presto vedremo come ciò si può fare immergendoli in un contesto più vasto.

Dai numeri naturali agli interi

Se ci restringiamo invece ai numeri ordinali finiti, questi rappresentano i numeri naturali che ci sono familiari dalle elementari, ovvero sin da quando non ci eravamo ancora chiesti che cosa fossero i numeri. Premettendo  un segno ai naturali si ottiene una classe di numeri più grande, gli interi, su cui poter eseguire le operazioni di somma e sottrazione.

Le tabelline servono a memorizzare alcune proprietà dei numeri naturali (Photo by Gayatri Malhotra on Unsplash).
Le tabelline servono a memorizzare alcune proprietà dei numeri naturali (Photo by Gayatri Malhotra on Unsplash).

E poi i numeri razionali, reali, immaginari…

Prendendo poi coppie di interi, otteniamo i numeri razionali su cui possiamo definire prodotto e reciproco. Già i Greci avevano scoperto però che le distanze non sono rappresentabili tutte da numeri tra loro commensurabili e quindi sono necessari i numeri reali. Nella teoria degli insiemi, questi ultimi sono definiti per approssimazione, come coppie di insiemi di numeri razionali: quello dei numeri più grandi e quello dei numeri più piccoli del numero che si vuole approssimare. Le star tra i reali sono √2 e π, ma ce ne sono infinitamente tanti altri.

Rotazioni nel piano e nello spazio

I numeri reali si possono pensare anche come punti su una retta e come distanze rispetto all’origine, dove c’è lo zero…. Ma perché fermarsi alle distanze e non rappresentare anche le rotazioni in un piano? Così, in modo un po’ anfibio, con motivazioni sia algebriche che geometriche, arriviamo ai numeri complessi, la cui star è √-1, chiamato i, ovvero immaginario. Sebbene impensabile, fu comunque pensato dai matematici italiani del XVI secolo Cardano, Tartaglia e Bombelli. La moltiplicazione per i corrisponde a una rotazione di 90° in senso antiorario. Hamilton nell’800 andò oltre e introdusse i quaternioni, che permettono di descrivere le rotazioni nello spazio.

Infinitamente piccoli

Tra i vari tipi di numeri, non ho ancora parlato degli infinitesimi, ovvero quei numeri strettamente positivi che sono più piccoli di qualsiasi numero razionale positivo. Il problema è che non sono mai stati veramente caratterizzati in modo rigoroso fino a quando negli anni ’50 del secolo scorso venne introdotta l’analisi non-standard da Abraham Robinson e altri. Gli infinitesimi erano stati però usati con maestria agli albori del calcolo infinitesimale e integrale proprio da Leibniz e prima di lui, in un metodo per calcolare aree e volumi, da Archimede, che li chiamò indivisibili, e da Bonaventura Cavalieri (1598-1647). La difficoltà di non commettere errori aveva però portato agli inizi dell’800 a fondare il calcolo infinitesimale su “gli epsilon e i delta” come li chiamano gli studenti di matematica di tutto il mondo da allora.

E poi…

Esistono numeri che includono i reali, gli infiniti e gli infinitesimi, e quindi consentono anche di effettuare operazioni aritmetiche tra loro. Sono i numeri surreali, e sono l’argomento del prossimo articolo.

Furio Honsell
Furio Honsell
Furio Honsell è docente di Teoria degli Automi all’Università di Udine. Ha pubblicato oltre un centinaio di articoli scientifici sui fondamenti della matematica, la teoria dei tipi, la semantica dei linguaggi di programmazione, la dimostrazione formale e la certificazione formale del software, il lambda-calcolo, la teoria dei giochi, e la salute pubblica. Svolge inoltre un’intensa attività di promozione dell’alfabetizzazione matematica e della cultura del gioco come strumento di inclusione sociale. Attualmente cura la rubrica "Giochi Furiosi" sul supplemento Enigmistica del Sole 24 Ore. Ha pubblicato alcuni libri di giochi matematici (L’algoritmo del Parcheggio, Mondadori 2007). Ha collaborato con la trasmissione "Che tempo che fa" di Fabio Fazio dal 2003 al 2006. Dal 2011 al 2018 è stato Presidente di GIONA, l’associazione nazionale dei comuni italiani che promuovono il gioco.

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