A caccia del tartufo bianco d’Alba

Si muovono di notte, tra gli alberi, avvolti nella mantella che li confonde nelle tenebre. Hanno il bastone in mano, lo zappetto alla cinta, la lanterna, un fazzoletto in cui nascondere il bottino. E non fanno un passo senza il loro compagno più prezioso, il cane. Sono i trifolao, i cercatori di tartufo delle Langhe, del Roero e del Monferrato. Siamo andati con loro nei boschi per la cerca.

-

A caccia del tartufo bianco d’Alba

Si muovono di notte, tra gli alberi, avvolti nella mantella che li confonde nelle tenebre. Hanno il bastone in mano, lo zappetto alla cinta, la lanterna, un fazzoletto in cui nascondere il bottino. E non fanno un passo senza il loro compagno più prezioso, il cane. Sono i trifolao, i cercatori di tartufo delle Langhe, del Roero e del Monferrato. Siamo andati con loro nei boschi per la cerca.

«Mi sveglio molto presto al mattino, alle quattro. Il mio cane generalmente mi anticipa, perché lui alle quattro meno dieci inizia ad abbaiare. Ci prepariamo, e come apro il baule della macchina lui si fionda dentro perché sa che deve andare, ha una destinazione precisa nella testa». Anche se a volte si muove in modo furtivo nella notte, a parlare non è un ladro. È un giudice della Fiera del Tartufo bianco di Alba, Stefano Cometti, uno che di trifole (come si chiamano da queste parti i tartufi) se ne intende. Tanto che è un cercatore anche lui, un trifolao (pronuncia “trifolau”). E il suo “complice” è un bracco. «Insieme ci rechiamo nella tartufaia, che in genere è nascosta in luoghi abbastanza impervi, anche un po’ mascherati», prosegue il racconto. «Alle quattro di mattina è proprio buio. Io mi muovo con la pila, il mio cane ha un collare dotato di led in modo che lo possa seguire nel bosco; perché di notte non conosci, non sai dov’è, vedi solo gli occhi che si muovono e può essere un tasso, un cinghiale, un lupo, qualsiasi cosa. Quando arriviamo lo libero e lui va a cercare sistematicamente nelle zone dove l’ha già trovato prima, perché conosce i posti, anche al buio sa dove infilarsi. Quando ne identifica uno, se sono distante mi guarda: con uno sguardo mi dice – c’è una comunicazione visiva incredibile – “Oh, qui c’è”. Allora gli do lo stop, lui si ferma e non scava. Quando gli do il via, scava fino a un certo punto. Mi avvicino, e con l’olfatto cerco di capire dov’è. Se non lo identifico, gli do un comando e lui mette il naso nel posto giusto, dove sotto tre dita di terra magari c’è il tartufo. Allora scavo, e questa è un’operazione che richiede un po’ di perizia, perché non bisogna rovinare il punto in cui nasce il tartufo. Dopo averlo estratto, io ho l’abitudine di lasciarne un pezzettino, perché le spore che rimangono lo aiuteranno a ricrescere l’anno successivo. Chiudo infine il buco nel terreno, do il premio al cane (uno o più biscotti, a seconda del valore del tartufo) e c’è un momento ludico, un po’ di gioco. Si continua l’avventura così, per 3 o 4 ore. Infine si torna a casa con il bottino, che non andrà perso perché io non vendo i tartufi che trovo, preferisco condividerli a cena con gli amici».

Cometti
Stefano Cometti con il suo cane Dora (Foto S. Cometti).

Stefano Cometti è un vero appassionato. Di giorno, come detto, è giudice alla fiera di Alba, dunque ammette, certifica o scarta i tartufi che vengono esposti in vendita lì, oltre a tenere corsi di degustazione per i tanti turisti che arrivano da ogni parte del mondo. Nel tempo libero, scava dove può. E, per sua stessa ammissione, se il suo cane si mette a fiutare il terreno ai piedi di un albero, è pronto in qualsiasi momento a tirar fuori lo zappetto e a farsi strada fino a trovare la pepita, anche se – come è capitato – si trattasse di dover fare un buco nell’asfalto.

Un delicato equilibrio

Valutare un tartufo sembra facile, ma non lo è affatto, almeno per i profani. I turisti confondono spesso l’intensità con la forza, per esempio. Che cosa vuol dire? Semplice, l’intensità riguarda soprattutto gli odori sgradevoli, mentre la forza misura le buone qualità del profumo. «Un buon tartufo ha intensità zero e forza nove», sentenzia Cometti, facendo riferimento alla scala da 0 a 9 che si usa nelle valutazioni. Però in molti si confondono, e vanno in estasi – sarà la suggestione – per tartufi che in realtà sanno troppo di aglio, di formaggio, di ammoniaca, se non addirittura di calzino sporco e perfino di topo morto… in pratica, che sono marci. Perché il tartufo perfetto si basa su un delicato equilibro. Deve essere sì integro, attraente, giallo-marroncino tenue e della giusta consistenza (non deve essere molle), e questo è facile da valutare. Ma soprattutto deve sprigionare tutti gli aromi giusti a piccole dosi e nel corretto equilibrio. Quindi deve profumare di fungo, ma non troppo; di fermentato (cavolo, broccolo, ecc.), ma non troppo; di miele, di fieno e di aglio, ma non troppo. Mentre è meglio non sentire affatto sentori di spezie, di terra bagnata e di ammoniaca.

Patrimonio dell’umanità

D’altra parte, ciò che caratterizza maggiormente un tartufo è il profumo, che è dovuto principalmente a una particolare molecola, il bismetiltiometano. E anche per questo, per guastare al meglio il tartufo bianco d’Alba, la cosa migliore e tagliarlo a lamine sottili, crudo, su un piatto di tajarin o di uova, come si fa nelle Langhe.

Dopo aver reso onore al piatto, motivato dalla descrizione di Cometti, decido di andare vedere di persona come si svolge una cerca – attività da poco riconosciuta patrimonio Unesco –, affascinato soprattutto da quel che si racconta sul rapporto tra i trifolao e i loro i cani, i taboj (pronuncia “tabui”), come li chiamano qui.

Cronaca di una cerca (con intervista sul campo)

La guida che mi viene assegnata si chiama Stefano Pio, e viaggia con la sua immancabile Panda (la macchina tipica dei trifolao) e con il suo cane Kira. Anche se è molto giovane, è uno dei tartufai riconosciuti della zona, tanto che nell’estate del 2023 è stato fotografato con Kira da Steve McCurry, per una serie di scatti esposti nel nuovo Museo del Tartufo di Alba. La sua foto è stata scartata, ma resta qualche immagine del backstage come quella qui sotto.

Stefano Pio
Nella Panda con Stefano Pio, in viaggio verso il punto da lui scelto per la cerca del tartufo bianco (Foto Josway).

 

Tra i cacciatori

Stefano ha un altro lavoro, è meccanico, ma nella stagione della cerca esce tutte le sere dopo cena. Mi porta in un’area coltivata a pioppi nei pressi di un noccioleto, non distante dal centro abitato. Sono le nove del mattino e incontriamo dei cacciatori, con cui ci mettiamo a parlare. Cercano cinghiali, e si stanno spostando. Dunque possiamo restare. E allora la prima cosa che chiedo a Stefano mentre libera Kira riguarda proprio questo aspetto.

Queste zone sono molto battute anche dai cacciatori, mi sembra. Come è la vostra convivenza con loro? «Tra persone intelligenti credo che ci si possa accordare senza problemi». Di solito i trifolao si muovono di notte, di nascosto. Qui siamo invece in pieno giorno in mezzo ad altre persone. Non c’è il rischio che ci vedano se troviamo qualcosa? «Sì, c’è. Ci sono però posti come questo che conoscono in molti, e quindi non è un gran problema farsi vedere. Ma ci sono anche posti che noi chiamiamo di scarto, dove magari c’è solo un albero o due, che nessuno sospetta, e quelli sono molto riservati. In posti come quelli, vado solo di notte con la pila spenta, faccio attenzione che il cane non lasci tracce, e se c’è fango non passo per non lasciare impronte. Se trovo qualcosa, copro e cerco di camuffare con qualche foglia, con qualche ramoscello. E poi, alla lunga, se un posto è buono per i tartufi, prima o poi qualcun altro lo scopre. Però se siamo solo in due o in tre a saperlo va sempre bene, perché la probabilità di trovarne uno rimane alta». – A questo punto vorrei fargli un’altra domanda: “Perché lo fai? Perché porti in giro sprovveduti come me?”; ma non ho bisogno di aprire bocca, perché Stefano mi legge nel pensiero e riprende, dopo un attimo di silenzio. – «Il mio obiettivo è quello di trasmettere a persone come te la mia passione per i tartufi e per il mondo che c’è intorno al loro, per la cerca con il cane e per tutto il bello che c’è intorno a questo mistero». E che cosa ti piace più di tutto di questo mondo? Che cos’è più gratificante per te, quando vai in cerca di tartufi? «Eh, vedere il cane che lavora, il cane che percepisce l’odore del tartufo. E quando lo trova, non si può sapere in anticipo se sia grande o se sia piccolo, se si trovi in profondità o in superficie. Quindi quando si va avanti a scavare è sempre un mistero, perché non si ha idea di che cosa si troverà. E poi il cane trova ogni tartufo in modo diverso, è sempre una sorpresa».

Come un metal detector

Lo sguardo cade inevitabilmente su Kira, che si muove leggera puntando il muso come un metal detector. È bello vederla girare, si vede che è felice e che ha uno scopo preciso, sembra molto focalizzata sul suo obiettivo.

Kira, ai margini di un pioppeto, è alla ricerca di un tartufo. 

Quanti tipi di tartufi ci sono, in tutto? «Ce ne sono più di sessanta tipi diversi, ma in gran parte non sono commestibili». E lei li cerca tutti? «Il cane bravo scava solo quelli commestibili, perché per lui è un gioco. Quando trova il tartufo, gli do un premio, che consiste in una crocchetta, un pezzettino di salsiccia, qualcosa di appetibile per lui. Per istruirli, non gli si dà il premio per quelli non commestibili. Quindi alla lunga, se il cane è intelligente, capisce e trova solo quelli buoni». È vero che questi cani sono addestrati fin dalla nascita? «Sì, il primo passo è quello. Perché il cane deve abbinare qualsiasi ricordo bello, qualsiasi forma di gioco dell’infanzia all’odore del tartufo, così ama questo odore, cerca questo odore, perché cerca la mamma, perché cerca l’infanzia». E che cos’è per te Kira? «Per quanto riguarda il mondo tartufi, insieme agli altri due cani che ho, è tutto. Perché senza di loro non è possibile trovare il tartufo». Quindi hai tre cani? «Tre, sì. Kira, suo padre e sua figlia. Sono contento della linea di sangue e cerco di mantenerla. Ovviamente per la cerca non si possono usare più di due cani per volta, lo impone la legge». Perché? «Credo per non rovinare il sottobosco. Comunque stare dietro a più di due cani è difficile anche per il cercatore». Di che razza è Kira? «È un bracco francese incrociato con un drattar, un cane da caccia fondamentalmente. Si usano molto anche i lagotti, ma personalmente non mi piacciono tanto perché hanno una cerca lenta. Questi invece sono instancabili e hanno una cerca più veloce». Quando vai in cerca chi comanda, tu o lei? «A tratti. Io comando tipo adesso – “Kira, vien ndrè, Kira!”, urla – poi fa quello che vuole. Però se si allontana troppo la faccio tornare indietro, anche perché lei, in questo campo come questo, non ha la cognizione di batterlo tutto, lei gira in base agli odori». Quindi c’è il rischio che torni sugli stessi posti… «Più di tutto c’è il rischio che magari non passi dove io so che nascono i tartufi, quindi cerco di concentrargli la cerca nei punti più interessanti» – Kyra vieni! Kyra vieni! –. Ti ha mai sorpreso? «Sì. Alla fine alla lunga ha sempre ragione il cane, perché a volte io magari insisto su posti dove secondo me c’è il tartufo, ma vedi che non si impegna… poi magari va in un posto che a me sembra strano e lo trova. Alla fine ha ragione lei. Alla fine lo sente, il cane». E quando lo trova che cosa fa? «Inizia a scavare, e poi lì dipende molto dal cane, questa si ferma. Si ferma e mi aspetta, aspetta il premio. Mi segna il punto, me lo marca. Ci sono cani che non iniziano neanche a scavare, e si fermano. Altri, invece, si mettono a scavare fino a quando non li fermi». Come fanno i maiali. «Sì». È vero che i maiali si usano in Francia? «Forse sì, non lo so. In Italia è vietato». Perché è vietato? «Non lo so, onestamente; ma da cercatore mi verrebbe difficile caricare un maiale da 200 chili sulla macchina e controllarlo, quindi per me va bene così». Mettiamo che ci fosse un tartufo qui. Kira da che distanza lo sentirebbe? «Dipende da molti fattori: se c’è vento, se non c’è vento, dalla temperatura. Se fa più freddo l’odore si sente di più, perché non ci sono altri odori del bosco che confondono. Dipende anche se ha piovuto o se il terreno è asciutto, perché se il terreno è molto bagnato l’odore fa fatica a venire fuori. E dipende molto dallo stato di maturazione del tartufo. Per cui, a volte, il cane sente un tartufo anche a trenta metri di distanza, a volte solo quando ci passa sopra».

Trovato!

Mentre parliamo, il cane si avvicina a noi e dà una zampata al terreno, segnando un punto preciso. Poi continua a muoversi come se nulla fosse, ma sa che lo abbiamo notato. Stefano cambia discorso senza interrompersi. «Adesso il cane ha scavato. Ecco, noi adesso guardiamo. Il tartufo c’è di sicuro. Perché se il cane scava, un cane di 6 anni e mezzo, è sicuro che c’è qualcosa. Quindi lo premio anche prima di guardare». – E gli dà un biscotto che tira fuori da una tasca della giacca. – «Però può essere grosso come un chicco di riso, o può essere di 200 grammi, quella è fortuna».

Kira premio
Tovato il tartufo, Kira va a recriminare il suo premio: è un segnale inequivocabile (Foto Josway).

Stefano sposta le foglie tutto intorno al punto indicato e si mette a scavare. «Dopo aver rotto il più grande bianco della mia vita in nove pezzi con lo zappetto, quando posso, se il terreno è morbido, scavo con le mani. Se il terreno è duro uso uno zappetto, che è un attrezzo rudimentale. Se uso lo zappetto, andrò a fare un cerchio di una ventina di centimetri intorno al punto che ha indicato il cane. Poi, quando ho ammorbidito la terra, vado a rimuoverla con le mani. Se non sono sicuro di come sto procedendo, il cane mi indica di nuovo perfettamente. Se voglio, lei me lo può tirare fuori direttamente; però con le unghie lo romperebbe, quindi meglio di no». Sai già se si tratta di un bianco o di un nero? «Potrebbe essere di entrambi i tipi. Dipende dal periodo. Adesso siamo a novembre, nel pieno del bianco, però si può già trovare il nero invernale; mentre nella prima parte della stagione del bianco si può ancora trovare il nero estivo ancora. Finito il bianco, ci sarà il nero pregiato, poi il nero invernale e poi inizierà il marzuolo, che è un falso bianco». E nascono tutti nello stesso ambiente? «Più o meno. Ci sono posti che fanno nascere il bianco e il nero, altri che fanno nascere solo il bianco, altri ancora solo il nero».

Scavo tartufo
Kira è su di giri, ma lascia che sia il padrone a scavare. Stefano avanza con prudenza, il più possibile con le mani, per non rovinare il prezioso bottino (Foto Josway).

In pochi istanti, Stefano trova il tartufo e lo indica con il dito. Si vede appena, ma si sente il suo profumo in mezzo alla terra. Lo tira fuori con cura. È fresco e profumatissimo, una vera gioia per l’olfatto. Me lo fa ancora annusare, poi lo ripone nel sacchetto che tiene nel taschino della giacca, mentre riprendiamo la conversazione.

Quanto tempo ci mette un tartufo a formarsi? «Ci mette circa quaranta giorni prima di sviluppare la molecola di bismetiltiometano. Quando matura inizia a sprigionare l’odore piano piano; ma da quel momento in poi inizia a deperire, non cresce più. Il miglior modo per capire la qualità, se non si è esperti, è la consistenza. Se un tartufo è gommoso, è vecchio». Dal profumo e dalle altre caratteristiche di un tartufo, riesci a distinguere l’albero da cui proviene? «No». L’influenza però c’è, giusto? «Sì, sicuro. Dipende molto anche dal tipo di terreno: se è più argilloso, più sabbioso, più calcareo, più compatto, più scuro, più chiaro». – Vai Kira, vai! – Ecco, si è allontanata. Se lo trovasse ora e facesse il segno come prima, non c’è il rischio che tu non te ne accorga? «È difficile, innanzitutto perché cerco di toglierle gli occhi di dosso il meno possibile; poi perché se lo trovasse verrebbe lei a chiamarmi, per reclamare il premio». Ti punta la tasca, come prima. «Sì, mi viene addosso, mi mette le zampe sul petto e mi punta la tasca dove ho il premio. Allora io le chiedo di farmi vedere e lei mi porta sul tartufo. Ogni cane ha il suo carattere, ha il suo modo di fare, di indicare. Il maschio che ho, per esempio, scava. E finché non lo fermo lui scava». Quindi potrebbe anche distruggere i tartufi. «Sì, ne ha distrutti tanti, me ne ha anche mangiati alcuni». Per questo preferisci la femmina? «Sì, poi è più costante sul lavoro, è meno territoriale e non deve marcare il territorio. L’unico vincolo che ha la femmina è quando ha il calore. Yep!».

tartufo 2
Stefano e Kira con il tartufo appena trovato. Un pezzo da circa 20 grammi (Foto Josway).

Bis di biscotti

Kira ha trovato un altro tartufo. Questa volta è lontano una decina di metri da noi, quindi lei si comporta in modo diverso. Come diceva Stefano, corre da noi per reclamare il premio. Si vede che è felice, corre muovendo le orecchie in su e in giù con aria di festa: è una gioia vederla. Come prima, Stefano le dà il premio in anticipo. Questa volta, però, il bottino non è un gran che. Si tratta di un tartufo nero, per giunta piuttosto vecchiotto. Meglio lasciarlo dov’è.

Continuiamo ancora un po’, e incontriamo un cacciatore. Per non commettere gaffe, mi limito a salutare e lascio che parli Stefano. «Trovato qualcosa?», chiede il cacciatore. «No. E invece la caccia?». «Stamattina stiamo ancora girando per tracciare». «Lepre?». «Cinghiale». Il cacciatore comincia a raccontare che il suo cane ha trovato una femmina di cinghiale con i piccoli, e che ha dovuto sparare. Poche battute, ed è già l’ora del commiato. «Buona va!». «Altrettanto».

Kira ha trovato il suo secondo tartufo: marca il punto e viene a reclamare il suo premio.

Non c’è mai niente…

Appena lo lasciamo, Stefano si gira verso di me ridendo: «E poi… non c’è mai niente». «Non c’è mai niente», rispondo io ricambiando il sorriso. Di quelli che trovi, quanti ne tieni per te? «Ah, l’1-2% forse, un paio all’anno». Così poco? «Alla fine, durante la stagione il mio frigo è sempre pieno di tartufi: il burro, le uova, il formaggio… tutto sa di tartufo. Mi basta così». Già, in fondo i tartufi sono tutto profumo. C’è qualche trifolao che vive solo di questo? «È molto difficile, perché la stagione del tartufo bianco dura solo qualche mese. Si può fare se si entra nel mondo del commercio del tartufo, con un giro ampio magari legato al turismo; ma è comunque molto difficile». E tu con che frequenza esci? «Nel periodo del tartufo bianco esco tutti i giorni, compreso il weekend». E in media quanti ne trovi? «Uh, è molto difficile da dire. A volte si trovano sette-otto tartufi in una sola uscita, a volte non si trova niente per settimane intere, soprattutto negli ultimi anni per il cambio del clima, a differenza del tartufo nero che bene o male si trova sempre».

Sono felice, il mio tartufo l’ho trovato. È ora di rientrare, quindi torniamo alla macchina. Una Panda, abbiamo detto, che definire spartana è poco.

panda
Fine della cerca, torniamo alla Panda per rientrare (Foto Josway).

Non mi resta che un’ultima domanda: Perché la Panda? «Perché è mitica, fa un lavoro eccezionale: 4×4 con le gomme strette, se si mettono le gomme con un po’ di rampone si va davvero dappertutto. E poi è una compagna d’avventura, ho sempre usato quella macchina lì». Kira entra nel suo gabbiotto nel bagagliaio. Mi guarda, sempre festosa. Ancora una volta, anche lei sembra d’accordo con il suo padrone.

 

Link e approfondimenti

 

Il viaggio più estremo

CoverI Buco Nero

Primo piano

Categorie più popolari

Recent comments