La casa sulla collina

Siamo stati a Ca’ Romanino, un’abitazione progettata da Giancarlo De Carlo che è parte integrante della collina in cui si trova, nei pressi di Urbino.

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La casa sulla collina

Siamo stati a Ca’ Romanino, un’abitazione progettata da Giancarlo De Carlo che è parte integrante della collina in cui si trova, nei pressi di Urbino.

Mentre scrivo ho davanti agli occhi, oltre l’ampia finestra che mi separa dall’esterno, la vigna da cui tutto è cominciato. Ho in testa le parole con cui mi ha accolto Gianluca, il “padrone di casa”: «Dopo essere rimasto quasi immutato per secoli, negli ultimi cinquant’anni questo paesaggio è cambiato. A fine ’800, i visitatori venivano qui per ritrovare i paesaggi dei quadri di Piero della Francesca, di Raffaello. Fino alla Seconda guerra mondiale, c’erano ovunque campi coltivati. Ora i campi sono stati abbandonati, è cresciuto il bosco e sono arrivati alberi che prima non c’erano, come le acacie e i pini». Dell’antico vigneto che fino a pochi decenni fa ricopriva un ampio terreno non resta che un fazzoletto di terra dispiegato di fronte ai miei occhi.

Connubio totale

Sono a Ca’ Romanino, una residenza realizzata negli anni ’60 da Giancarlo De Carlo in cima a una collina a due passi da Urbino. E Gianluca Annibali è il giovane presidente della fondazione che mantiene abitata la casa, consentendo un pernottamento di 24 ore agli interessati.

L’architettura dialoga sempre con il paesaggio che la circonda, ma in questo caso il connubio è totale. I vecchi alberi sono integrati nella costruzione. Gli spazi in cui mi muovo sono in parte costruiti, in parte scavati nel terreno. La casa fa parte della collina stessa in cui si trova e viceversa: dove c’è il prato, sono sepolte le macerie di un vecchio casolare che è stato demolito. Qui il confine tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale non c’è; quello che conta sono i volumi che si susseguono senza soluzione di continuità, le forme, la luce.

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Il piano superiore dell’edificio. In basso, si vede l’ingresso nascosto e incastonato nella collina (Foto A. Parlangeli).

Ingresso nascosto

La prima cosa che colpisce quando si arriva è che manca la porta d’ingresso. Non c’è. O, meglio, non si vede. Si entra infatti nell’edificio attraverso un passaggio tagliato nella collina e delimitato con il cemento armato. Per arrivare alla porta, bisogna percorrere quel passaggio e girare l’angolo. Appena lo si fa, si nota che in realtà gli ingressi sono due. Su uno, che potremmo definire il principale, c’è il nome della proprietaria, Sonia Morra. L’altro era pensato per gli ospiti, a cominciare dallo stesso De Carlo. Entro da qui, e sono subito invaso da un forte senso di familiarità. Ho vissuto per un periodo della mia vita, ospite di amici a Milano, in una casa brutalista che ho molto amato, e ritrovo subito anche qui alcuni elementi comuni: l’uso del cemento armato, le pareti in mattoncini rossi, il soffitto ruvido, le porte tagliate a tutta altezza, i termosifoni situati sotto le finestre, le pareti mobili. Non si può dire però che De Carlo fosse un architetto brutalista, e infatti a ben guardare si trovano elementi tutti suoi, come quelli ispirati al mondo navale assimilati nella sua infanzia. De Carlo, infatti, era nato a Genova e il padre era un ingegnere navale. Ecco allora che a Ca’ Romanino si ritrovano finestre che ricordano oblò, boccaporti. C’è una stanza cilindrica con una porta scorrevole e due passaggi, uno verso l’esterno e uno verso il soggiorno, che ricorda una camera di decompressione. E ci sono quattro camere singole che comunicano a due a due per mezzo di pareti mobili, come cabine di una nave. Anche i due punti cottura erano pensati originariamente in modo minimale, quasi campale. Ma la proprietaria convinse l’architetto a progettare almeno una cucina vera e propria. «Ho detto subito a Giancarlo che non potevo accontentarmi di un posto di cottura, che non potevo nemmeno immaginare una casa senza cucina», ha ricordato la donna.

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Il soggiorno, lo spazio (condiviso) più importante dell’abitazione. È ispirato al patio di villa Sarabhai di Le Corbusier ad Ahmedabad, in India (Foto A. Parlangeli).

Molteplici influssi

Gli spazi della casa sono divisi in due blocchi comunicati. C’è una zona notte in basso, con le già citate quattro stanze singole, e una zona notte in alto. I due blocchi comunicano attraverso un soggiorno, anch’esso tagliato in due, dominato da un grande camino in ferro al centro e illuminato da un’ampia finestrata divisa in sei. Questa vetrata, evidenza Annibali, è ispirata al patio di villa Sarabhai di Le Corbusier ad Ahmedabad, in India, con l’unica differenza dell’aggiunta del vetro per ragioni climatiche. D’altra parte lo stesso De Carlo ha ammesso di ispirarsi ad architetti come Alvar Aalto, Frank Lloyd Wright e Le Corbusier.

Condivisione e riservatezza

Giancarlo De Carlo dava molta importanza all’impatto sociale dell’architettura ed è noto per la progettazione di spazi che agevolassero l’incontro e la condivisione, come quelli dei collegi universitari. A Ca’ Romanino, però, avviene il contrario: la residenza era infatti pensata come un ritrovo tra amici, che garantisse a ciascuno la sua liberà e la sua indipendenza.

Uno spazio tra amici

«La casa fu costruita tra il ’67 e il ’68, ma il terreno era stato acquistato una decina di anni prima», racconta Gianluca. «Sonia e Livio Schirollo erano una coppia milanese che si era trasferita a Urbino. Vennero a sapere dal sindaco che quel terreno era in vendita e lo comprarono perché erano interessati al vigneto, che all’epoca era molto più ampio di adesso». Poi Livio ricevette una piccola eredità e decise di costruire una casa, affidando l’incarico a De Carlo, con cui lui e la moglie erano molto amici. Sia De Carlo sia Schirollo, infatti, erano stati chiamati a Urbino da Carlo Bo. Schirollo era stato in precedenza docente di Storia della filosofia a Torino, De Carlo era stato segnalato a Bo da Elio Vittorini e Vittorio Sereni.

Alcune foto scattate durante il soggiorno (A. Parlangeli).

Fritto misto e melanzane

La casa fu realizzata in economia; ma fu completata e arredata, e ancora oggi si può ammirare così com’era. Spesso i coniugi Schirollo avevano ospiti a cena, a cominciare da Giancarlo De Carlo e Carlo Bo. Quest’ultimo, ha detto Sonia, “è sempre stato attratto da piatti semplici come la pasta con il pomodoro o con i fagioli e dal fritto misto”. Mentre a De Carlo piacevano le melanzane grigliate.

“Uno spazio non diventa mai un luogo finché non ci sono degli esseri umani che lo esperiscono, che lo cambiano, che lo modificano” (Giancarlo De Carlo)

Antichi vitigni

Poi la vita ha fatto la sua parte. I coniugi Schirollo si separarono, e da allora lo stesso De Carlo cominciò a frequentare sempre meno la casa. Fino a che Sonia decise di creare un’associazione, poi divenuta fondazione, per mantenere l’abitazione in uso insieme al vigneto, che – pur nelle sue dimensioni ridotte – include nove vitigni (come el scruculin, el sgranarèll, el famo’s, el tintorièll) di cui alcuni autoctoni e rari. «Il progetto che ha caratterizzato la fondazione fino ad adesso è che questa casa, nata per accogliere un gruppo di amici, diventasse patrimonio di tutti», conclude Annibali. «Oggi, infatti, con il progetto 24 ore, la casa non è solo visitata, è vissuta». Come disse lo stesso De Carlo: “Uno spazio non diventa mai un luogo finché non ci sono degli esseri umani che lo esperiscono, che lo cambiano, che lo modificano”.

Link e approfondimenti

• Il sito della Fondazione Ca’ Romanino.
• Il sito di Josway dedicato ai due rinascimenti di Urbino, con le foto dei collegi universitari di Giancarlo De Carlo descritti anche da Italo Calvino.

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