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Un paesaggio marziano, spiegato dalla Nasa

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La fotografia panoramica più grande e ad alta risoluzione presa dal rover Curiosity della Nasa sulla superficie di Marte. È questo che mostra il video che vi mostriamo (credit Nasa/Jpl-Caltech/Msss), con le parole di spiegazione (in inglese) di Ashwin Vasavada, Project scientist del Progetto Curiosity.

Siamo nella regione denominata “Glen Torridon”, alle pendici del Monte Sharp (ufficialmente Aeolis Mons), dove appunto è atterrato il rover il 6 agosto 2012. L’immagine descritta nel video, invece, è stata presa tra il 24 novembre e l’1 dicembre 2019, durante la festività americana del Ringraziamento (Thanksgiving). Approfittando, appunto, di una pausa degli scienziati, Curiosity ha scattato una serie di oltre mille foto dalla postazione in cui si trovava. Le immagini sono state poi assemblate nei mesi successivi, fino a comporre una panoramica di quasi 1,8 miliardi di pixel, che ci consente un’immersione unica nel paesaggio marziano.

Per saperne di più
Sul rover marziano Curiosity: il sito della Nasa.
Un viaggio tra i geyser marziani.

La magia delle luci del Nord

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La buia e interminabile notte polare è a volte rischiarata come per incanto da nastri colorati che compaiono, danzano e svaniscono nel cielo come spiriti o divinità che aleggiano sui paesaggi imbiancati. Quelle luci ineffabili sono generate da invisibili flussi di particelle provenienti dal sole che, guidate dal campo magnetico terrestre, si riversano sull’atmosfera ed eccitano gli atomi che la compongono, rendendoli luminosi. Così, per esempio, l’ossigeno alle quote più alte produce le più rare luci rosse, mentre a quote inferiori lo stesso ossigeno emette luce verde, che poi è la più abbondante e caratteristica, e anche quella che i nostri occhi meglio rilevano. L’azoto, dal canto suo, a seconda delle circostanze può anch’esso emettere luce blu, viola o rossa. La aurore boreali, come anche si chiamano le luci del Nord, sono a tutti gli effetti una danza di particelle, atomi, campi magnetici e colori.

Dentro la foto

Questa straordinaria foto scattata dall’italiano Giulio Cobianchi alle isole Lofoten, in Norvegia, cattura un raffinato gioco di luci naturali e artificiali. L’aurora boreale è l’arco colorato che illumina la parte destra dell’immagine, al quale sembra appoggiarsi l’ultima stella del Gran Carro, Alkaid. A sinistra, a riempire l’altra metà della scena, la grande striscia della Via Lattea (la nostra galassia), ma non solo. Accanto alla capanna illuminata, poco sopra l’orizzonte, c’è un puntino rossastro: è Marte. E più in alto, proprio sopra la capanna, la galassia Andromeda. Non li riconoscete? Potete aiutarvi con il supporto grafico fornito dalla Nasa a questo link, dove sono pubblicate le “foto astronomiche del giorno” come questa. Che poi, in realtà, non è una foto semplice, ma la composizione di 18 scatti per formare un panorama a 360°.

“Mentre scattavo ho fatto davvero fatica a restare concentrato, non riuscivo staccare gli occhi dal cielo”

Giulio Cobianchi, l’autore della foto, è nato nei pressi delle Dolomiti e vive attualmente con la moglie nelle isole Lofoten, un arcipelago con paesaggi da cartolina situato oltre il Circolo Polare Artico. Qui ha effettuato molte foto di aurore, di cui vi presentiamo una selezione nella gallery qui sotto (insieme a una foto delle Tre Cime di Lavaredo, che testimonia le origini altoatesine dell’autore): cliccateci sopra per vederle meglio, ne vale la pena. Cobianchi organizza viaggi e workshop fotografici, insegna fotografia anche online e più di 84mila le persone lo seguono su Instagram (@giulio_cobianchi_photo). «La stagione invernale 2020/2021 sta andando molto bene», ci racconta. «Sopratutto il 2021 è iniziato con tanta attività solare e cieli piuttosto limpidi».

In tenda, tra le montagne

Scattare foto come queste richiede, oltre che abilità tecnica, pazienza e dedizione. «La mia passione per “vivere” la natura mi porta a passare molte notti da solo, in tenda in mezzo alle montagne. Non c’è modo migliore per sentirsi in perfetta simbiosi con essa», ha dichiarato recentemente Cobianchi a Media Inaf. E poi, riguardo alla foto ripresa dalla Nasa: «A essere sincero mentre scattavo ho fatto davvero fatica a restare concentrato, non riuscivo staccare gli occhi dal cielo. Avevo alla mia destra l’aurora e alla mia sinistra la nostra galassia, è stata un’emozione incredibile, una delle migliori notti sotto alle stelle che abbia mai vissuto».

 

Per saperne di più

Il sito dell’Astronomy Picture of the Day della Nasa
L’intervista di Cobianchi su Media Inaf.
Il sito di Cobianchi.

 

Viaggio in una stella di neutroni

Già dagli anni ’30 del Novecento, dopo la scoperta dell’esistenza dei neutroni, si riteneva possibile in via teorica l’esistenza di un oggetto stellare composto solo da queste particelle elettricamente neutre. L’idea fu proposta da Walter Baade e Fritz Zwicky, in una nota a pie’ di pagina di un articolo del 1934 che si è rivelato uno dei più lungimiranti in astrofisica e che prevedeva anche l’esistenza delle supernove.

Una sfera perfetta. Una stella di neutroni è infatti quel che resta di un’esplosione di supernova, un fenomeno catastrofico che segna la morte di una stella massiccia, con massa pari a decine di volte il sole. In estrema sintesi, una stella di neutroni è un oggetto con un diametro di circa venti chilometri, con una massa superiore a quella dell’intero Sistema solare, che può ruotare al ritmo di 700 rivoluzioni al secondo ed è così sferico che la sua imperfezione più “vistosa” è al di sotto del millimetro.

Una stella di neutroni a confronto con la città di Monaco di Baviera, in Germania (ESO/ESRI World Imagery, L. Calçada). La massa di questi corpi celesti è superiore a quella del Sole, ma è compressa in volumi molto più piccoli.

Quello che dovete provare a visualizzare è un corpo celeste che abbia le dimensioni di una città come Francoforte o Milano, ma la cui massa è semplicemente enorme e la cui densità è assolutamente inimmaginabile per il nostro senso delle scale fisiche. Stiamo parlando di densità che sono un milione di miliardi di volte quella dell’acqua; un solo centimetro cubo di materiale proveniente da una stella di neutroni – vale a dire quanto una zolletta di zucchero – contiene una massa pari all’intera catena alpina, dalle Alpi Liguri a quelle Friulane.

Un cucchiaio di materia di una stella di neutroni ha la stessa massa di tutte le Alpi

Se già, dunque, facciamo fatica a immaginarle, come sono fatte al loro interno le stelle di neutroni? In realtà non lo sappiamo, ma ci sono alcuni aspetti della loro composizione sui quali tutti concordano. Per esempio, è abbastanza chiaro che una stella di neutroni non è fatta di soli neutroni, e contiene al suo interno anche altre particelle, sebbene in quantità ridotte. Ci sono di certo altri costituenti degli atomi come i protoni e gli elettroni, e proprio questi ultimi, con altre particelle cariche leggere, sono in grado di produrre le enormi correnti elettriche necessarie a generare gli imponenti campi magnetici che osserviamo. Inoltre, è abbastanza chiaro che la struttura di una stella di neutroni debba essere caratterizzata da alcune zone, i cui spessori ci sono noti con una certa precisione.

Luciano Rezzolla
Luciano Rezzolla è direttore dell’Istituto di fisica teorica alla Goethe Universität di Francoforte e membro del comitato scientifico dell’Event Horizon Telescope (EHT), che ha realizzato la prima foto di un buco nero.

Sottile atmosfera. Immaginiamo dunque di “entrare” in uno di questi corpi celesti, partendo dalla superficie e muovendoci verso il centro.­ Fare questo viaggio è in realtà impossibile perché le forze mareali a cui saremmo sottoposti ci distruggerebbero ben prima di avvicinarci alla superficie della stella. Possiamo tuttavia fare un viaggio con la mente, e in questo caso il primo strato che incontreremmo è una sorta di atmosfera: una buccia sottilissima, di spessore non superiore al centimetro, composta da atomi estremamente pesanti e con una densità miliardi di volte superiore a quella della nostra atmosfera. Per quanto estreme, le proprietà di questa atmosfera sono abbastanza chiare, e la sua fisica è relativamente ben testata, tanto che la riteniamo un elemento “noto”. Per quanto paradossale, l’unica parte di un oggetto con un raggio di una dozzina di chilometri che pensiamo di conoscere in dettaglio, a livello di proprietà, ha uno spessore di non più di un centimetro.

Come la Terra, anche una stella di neutroni ha una struttura a cipolla, con un’atmosfera, una crosta e un nucleo

Una “crosta” morbida. Muovendoci verso il centro, al di sotto dell’atmosfera troveremo quella che viene chiamata la crosta, vale a dire uno strato con uno spessore di circa uno o due chilometri, che contiene una serie di ioni pesanti – ossia con grande massa atomica – ma anche elettroni dall’energia estremamente elevata. È bene sottolineare che il termine “crosta” può esser fuorviante, in quanto si tratta in realtà di un materiale elastico e deformabile, simile piuttosto a una sostanza plastica estremamente densa. Parte della materia della crosta presenterà una struttura periodica e regolare in cui gli ioni sono a distanze precise e gli elettroni sono liberi di muoversi negli spazi lasciati vuoti. Questo tipo di struttura a reticolo è quello che incontriamo usualmente nei metalli e nei cristalli, ed è responsabile delle loro proprietà meccaniche.

Nebulosa del Granchio
La Nebulosa del Granchio, nella costellazione del Toro, a circa 6 mila anni luce da noi. È quel che resta di un’esplosione di supernova, e ospita al suo centro una stella di neutroni che ruota 30 volte al secondo attorno al suo asse (ESO).

Verso i misteri del nucleo. Al di sotto della crosta – in uno strato che potrebbe estendersi per sei o sette chilometri – incontreremo quello che viene e definito il nucleo esterno; lì la densità raggiunge le migliaia o decine di migliaia di miliardi (insomma, 1013 o 1014) di grammi per centimetro cubo. Una densità enorme, ma non quella massima, che si incontrerà spostandosi verso la zona centrale, il nucleo interno, che ha anch’esso uno spessore di sei o sette chilometri. Le proprietà della materia nel nucleo interno rimangono sconosciute e rappresentano una sfida teorica eccezionale, con la quale i fisici nucleari si confrontano ormai da quasi quarant’anni. Forse l’interrogativo più importante riguarda la presenza di particelle esotiche come gli iperoni, o addirittura quark liberi (sono le particelle elementari che compongono neutroni e protoni).

Forse nel loro nucleo esiste in forma stabile la materia che era presente nelle prime fasi di vita dell’universo

In un mare di quark. In altre parole, è possibile che al centro di una stella di neutroni – in conseguenza della densità elevatissima raggiunta nel suo nocciolo più interno, il cui raggio non supera il paio di chilometri – i quark siano così addossati gli uni agli altri da diventare “liberi”, ossia da non essere più confinati all’interno di un neutrone o protone, e formino una cosiddetta zuppa di quark. Quest’ipotesi è particolarmente affascinante, perché sappiamo che una zuppa di questo genere doveva esser presente nei primissimi istanti di vita dell’universo, fino a un centesimo di secondo, e si produce per tempi brevissimi quando facciamo collidere ioni pesanti negli acceleratori di particelle. L’idea che questa zuppa sia presente invece in maniera stabile all’interno delle stelle di neutroni e possa essere in qualche modo rivelata – magari tramite l’emissione di onde gravitazionali – apre dunque spazi di ricerca che coinvolgono scienziati di tutto il mondo, me compreso.

Luciano Rezzolla

Luciano Rezzolla è direttore dell’Istituto di fisica teorica alla Goethe Universität di Francoforte e membro del comitato scientifico dell’Event Horizon Telescope (EHT), che ha realizzato la prima foto di un buco nero (Qui un suo Ted sulla scoperta).

Recentemente, ha pubblicato il libro L’irresistibile attrazione della gravità (Rizzoli), di cui questo brano è un estratto, adattato alla linea editoriale del sito.

I due rinascimenti di Urbino

Si dice che Urbino, descritta come “città in forma di palazzo” da Baldassare Castiglione nel Libro del Cortegiano (1528), abbia vissuto due rinascimenti.

1. Sotto il segno di Federico da Montefeltro

Il primo è quello noto a tutti, fiorito sotto Federico da Montefeltro (1422-1482) che aveva fama di condottiero spietato verso i suoi nemici. Alla sua corte operarono i migliori artisti, scienziati e architetti dell’epoca. Di particolare importanza per la città fu l’architetto senese Francesco di Giorgio Martini, consigliere personale del duca, che fu incaricato di realizzare rocche e fortificazioni nell’intero territorio del ducato: a Sassocorvaro, a Montecerignone, a Macerata Feltria, a Mondavio, a Cagli, a San Leo e così via.

“Non può essere che Urbino un palazzo che anziché sorgere entro le mura d’una città contiene una città tra le sue mura”
(Italo Calvino, Le città invisibili, 1972)

Nel 1464 iniziò la realizzazione del Palazzo Ducale sotto la guida dell’architetto dalmata Luciano Laurana. Nel 1472 subentrò nella direzione dei lavori Francesco di Giorgio, che vi si dedicò fino alla morte di Federico e anche oltre. Il connubio fra il duca e l’architetto portò quindi alla realizzazione di quella che molti considerano la città simbolo del Rinascimento italiano, una vera città ideale nella quale trascorsero lunghi periodi Leon Battista Alberti, Piero della Francesca, Paolo da Middelburg, e vi nacquero Donato Bramante e Raffaello Sanzio.

2. Sotto il segno di Carlo Bo

Il secondo Rinascimento di Urbino si sviluppò esattamente 500 anni dopo, nella seconda metà del Novecento, sulla spinta del docente e critico letterario Carlo Bo (1911-2001), rettore dell’ateneo cittadino per 54 anni e senatore a vita dal 1984. Bo affidò all’architetto genovese Giancarlo De Carlo la realizzazione di molte strutture dell’università.

Collegi Universitari Urbino Giancarlo De Carlo
I collegi universitari costruiti da Giancarlo De Carlo su una collina a 1 km dal centro storico di Urbino tra il 1962 e il 1983. Sono costituiti da 4 strutture immerse nel verde: il Colle, il Tridente, l’Aquilone-Serpentine e la Vela (foto di una stampa presente sul posto, A. Parlangeli).

Così De Carlo ristrutturò alcuni fra i più grandi complessi rinascimentali ancora esistenti, inserendovi dipartimenti e uffici. Ma soprattutto realizzò tra il 1962 e il 1980 una enorme struttura residenziale, una città ideale per studenti: il complesso dei Collegi universitari al Colle dei Cappuccini. Una struttura immersa nel verde ad appena un chilometro dal centro, con circa 1.500 posti letto, teatri, auditorium, sala proiezioni, sale per riunioni, mensa, bar, spazi comuni, sale studio, una biblioteca.

Dettagli dei collegi universitari realizzati da Giancarlo De Carlo a Urbino. Sono uno degli esempi più riusciti di architettura partecipativa (foto A. Parlangeli).

Urbino divenne in quel periodo un vivace centro culturale, che negli spazi disegnati da De Carlo accolse conferenze e ospiti provenienti da tutto il mondo. Tra questi anche Italo Calvino, che nelle sue Città invisibili (1972), in un dialogo immaginario tra Marco Polo e l’imperatore Kublai Kan, descrive il borgo così: “non può essere che Urbino un palazzo che anziché sorgere entro le mura d’una città contiene una città tra le sue mura”.

“La verità è che nell’ordine c’è la noia frustrante dell’imposizione, mentre nel disordine c’è la fantasia esaltante della partecipazione
(Giancarlo De Carlo, 1973)

Nella prefazione del Castello dei destini incrociati (1969), Calvino scrive anche: “L’idea di adoperare i tarocchi come una macchina narrativa combinatoria mi è venuta da Paolo Fabbri durante un seminario internazionale sulle strutture del racconto del luglio 1968 a Urbino”. E lo stesso De Carlo ha raccontato: «Italo Calvino era venuto a Urbino e aveva dormito al Collegio del Colle. Gli avevo chiesto, la mattina dopo, come si era trovato in quell’ambiente un po’ particolare. E lui mi aveva detto che tutto gli era molto piaciuto, ma quello che gli era piaciuto di più era stato che in quel Collegio uno potrebbe uscire al mattino perché deve incontrare una ragazza che gli piace. E allora comincia a seguire un percorso; però, a un certo punto, il percorso si dirama e poi si dirama ancora, e sale e scende e va in obliquo e offre sempre più scelte; finché arrivi a un ultimo incrocio dove incontri un’altra ragazza che ti piace ancora di più e ti dimentichi della prima: la tua vita cambia e la causa è l’architettura».

(Ha collaborato Andrea Parlangeli)

Link e approfondimenti

• Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Italo Calvino. Qui, i post su Josway dedicati al rapporto tra lo scrittore e la teoria della complessità che ha portato al Nobel il fisico Giorgio Parisi.
• La descrizione di Zobeide nel libro Le città invisibili (1972) di Calvino.
Il Castello dei destini incrociati (1969) di Italo Calvino.
La città ideale nella storia.
• Il libro L’architettura della partecipazione (Quodilibet, 2013) di Giancarlo De Carlo.

Dante Alighieri e la gravità

«Prima ch’io de l’abisso mi divella,
maestro mio», diss’io quando fui dritto,
«a trarmi d’erro un poco mi favella:

ov’è la ghiaccia? E questi com’è fitto
sì sottosopra? E come, in sì poc’ora,
da sera a mane ha fatto il sol tragitto?».

Ed elli a me: «Tu imagini ancora
d’esser di là dal centro, ov’io mi presi
al pel del vermo reo che ’l mondo fóra.

Di là fosti cotanto quant’io scesi;
quand’io mi volsi, tu passasti ’l punto
al qual si traggon d’ogne parte i pesi».

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIV, 100-111)

 

Siamo con Dante e Virgilio alla fine del viaggio nell’Inferno, nel centro della Terra, dove nella Commedia si trova Lucifero. Qui Dante usa un originale trucco narrativo per descrivere la forza di gravità come un campo centripeto, per il quale le nozioni di “alto” e “basso” dipendono appunto da dove ci si trova rispetto al centro. E lo fa, come sempre, al meglio delle conoscenze dell’epoca.

Traditori!

L’ultima porzione dell’Inferno, chiusa dall’orribile corpo di Lucifero, è formata dalla Giudecca, dove i traditori dei benefattori vengono puniti immersi nel ghiaccio. Dante e Virgilio si dirigono verso il centro della Terra e il poeta latino invita il discepolo ad abbracciarlo al collo mentre cerca il momento giusto per scavalcare il corpo dell’angelo ribelle per continuare il viaggio verso l’altro emisfero. Virgilio si aggrappa alle costole pelose di Lucifero e scende lungo i suoi fianchi, per poi “girarsi” e iniziare a salire verso l’alto.

Punto di svolta

Dante non si rende immediatamente conto di ciò che sta accadendo, e crede erroneamente che lui e Virgilio stiano tornando nella Giudecca, da dove provenivano. Infatti, prima di attorcigliarsi intorno a Lucifero, aveva sentito la forza di gravità spingerlo nella direzione di marcia, mentre ora l’avverte opporsi al cammino. Per questo rimane disorientato e tempesta di domande la sua guida (Perché non rivedo il ghiaccio di prima? Perché Lucifero lo vedo rovesciato? E come ha fatto a farsi giorno così presto?). Virgilio prontamente gli risponde facendogli notare che hanno oltrepassato il centro della Terra (il punto verso i quale tutti i pesi sono attratti) e quindi si stanno affacciando all’altro emisfero, dove è giorno.

Senza peso

La trovata è estremamente immaginifica ed efficace dal punto di vista narrativo. Oggi però sappiamo che, in realtà, se si scendesse davvero all’interno della Terra, la gravità diminuirebbe fino a scomparire nel centro, per poi riprendere ad aumentare riaffiorando in superficie. Nel centro, infatti, si sarebbe attratti in ugual misura dalla materia attorno in ogni direzione. Ma questo Dante non poteva saperlo.

Link e approfondimenti

Il “programma” di divulgazione della conoscenza di Dante del Convivio e del De Vulgari Eloquentia.

Grandi numeri. Dalle dita di una mano ai mega, giga, zetta, ronna… fino a oltre l’universo (2)

Nel mondo dei grandi numeri, un punto di riferimento è il googol, cioè 10100, con cui abbiamo chiuso il post precedente. Tant’è che la branca della matematica che si occupa di grandi numeri è da alcuni chiamata googologia. Ma per quanto grande possa essere un googol – più o meno 100 miliardi di miliardi di volte il numero di atomi dell’intero universo – non è nulla in confronto all’infinito matematico.

Un googol (Yot, Hidro add transparency).

Tappa 1. Il googolplex

Un salto di qualità si può fare con il googolplex, anch’esso (come googol) introdotto da Edward Kasner, che è pari a 10googol ed è più facile da scrivere che da immaginare. Il googol si può ancora scrivere per esteso in notazione decimale su una pagina (v. figura). Per il googolplex non basterebbe un libro, e nemmeno una biblioteca, e nemmeno tutti i libri del mondo. Se infatti potessimo scrivere una cifra su ogni atomo dell’universo, arriveremmo a malapena a 1080 cifre, mentre un googolplex di cifre ne ha 10100. Un altro modo per raccontarla è dire che, se volessimo scrivere il numero a mano, immaginando di avere abbastanza carta e di scrivere una cifra ogni secondo, ci vorrebbero più di 1090 anni, cioè 1080 volte più dell’età universo.

Per tutti gli scopi pratici, il googolpex è un numero troppo grande per il nostro universo, figuriamoci allora per la nostra capacità di comprenderne veramente le dimensioni!

Tappa 2. Il numero di Graham

Ma il googolplex è ancora un numero relativamente piccolo, in quando si può ancora scrivere in forma esponenziale. All’inizio questo era ancora il metodo usato per creare numeri enormi, cioè aggiungendo zeri o esponenti su esponenti. Poi, nel 1971, arrivò Ronald Graham, e fece un importante salto di qualità. Graham definì infatti una procedura ricorsiva per creare un numero mostruoso, molto più grande di qualsiasi potenza possa venire ragionevolmente in mente: il numero di Graham. Questo “mostro” non salta fuori dal nulla, per il puro piacere di trovare un numero da record come altri che vedremo in seguito, ma è stato pensato per risolvere un problema matematico di teoria dei grafi e si può definire in modo ricorsivo.

 

GrahamCube
Esempio di un grafo a due colori legato al problema matematico in cui è stato pensato il numero di Graham.

Freccette

Prendiamo, per esempio, il numero 3 e definiamo le seguenti operazioni, usando una notazione ideata dall’informatico statunitense Donald Knuth:

3 ↑1 3 = 3↑3 = 33 = 27

3 ↑2 3 = 3↑↑3 = 3↑(3↑3) = 327 = 7.625.597484.987 (circa 7.600 miliardi)

3 ↑3 3 = 3↑↑↑3 = 3↑↑(3↑↑3) = 3↑↑7.625.597484.987 = … (molto più di un googolplex)

3 ↑4 3 = 3↑↑↑↑3 = 3↑↑↑(3↑↑↑3)=  …

Oltre ogni comprensione

È subito chiaro come la sequenza diventi esplosiva. Ma siamo solo all’inizio. Perché, a questo punto, si passa a un altro livello di crescita. Si definisce quindi:

g1 = 3 ↑4 3

g2 = 3 ↑g1 3

g3 = 3 ↑g2 3

E così via fino a g64.

g64 è il numero di Graham. A vederlo definito così, in una sequenza quasi lineare, si perde il senso della sua enormità. Ma per avere appena un assaggio di quanto questo numero sia grande, basti considerare che anche solo g1 è totalmente al di fuori della nostra comprensione umana.

Oltre l’universo

Consideriamo il massimo numero che, in linea di principio, possa essere contenuto nell’universo in forma decimale. Per stimarlo, si può considerare la quantità massima di informazione che l’universo può contenere. Immaginiamo di allora suddividere lo spazio in tante caselle, ciascuna della quale contenga un’unità di informazione, per esempio una cifra (da 0 a 9) di un numero enorme. Da un punto di vista fisico, il volume minimo che ha senso considerare si chiama volume di Planck, ed è un numero piccolissimo, pari a 1.6 10-33 centimetri. Se si cercasse di guardare in un volume più piccolo, si produrrebbe un buco nero. In un centimetro cubo ci sono 2,5 1098 volumi di Planck. Nell’intero universo che ne sono 10184. Il googolplex ha 10100 cifre, dunque in linea di principio può essere scritto nell’universo nella modalità che abbiamo appena illustrato. g1 no. g1 è molto più grande.

Figuriamoci g2, che è scritto con una quantità di frecce pari a g1… E poi tutti gli altri.

Ovviamente ci sono tanti numeri più grandi del numero di Graham. Al posto del 3 si potrebbe usare un altro numero. Oppure si potrebbe iterare il processo per un numero maggiore di volte. Ma tutto questo non cambierebbe di molto le cose. Di fatto, il numero di Graham ci proietta verso una dimensione fuori dalla portata della classica notazione esponenziale.

Da record

Anche se questo numero non si può scrivere in alcun modo per esteso, le sue ultime cifre sono note, e sono 3, 8 e 7. Il numero di Graham fu reso popolare dallo scrittore Martin Gardner sulle pagine di Scientific American, ed entrò nel Guinness dei primati nel 1977.

Link e approfondimenti

La prima puntata della serie sui grandi numeri.
• La crescita esponenziale descritta da Dante Alighieri.
Googol e googolplex in un video di Numberphile.
• Il numero di Graham spiegato da Ron Graham!
• Per scendere nel dettaglio, il sito Conceptualizing Graham’s number.
Gli ultimi 16 milioni di cifre del numero di Graham.

C’era una volta un lago…

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Arroccato sull’altopiano del Plateau Qinghai-Tibetano nella Cina Occidentale, il Lago Qinghai è un avamposto di biodiversità all’interno dell’arida steppa, e un indicatore sensibile dei cambiamenti climatici della regione. Il livello fluttuante dell’acqua del lago costituisce infatti un indicatore del cambiamento climatico in questo habitat d’alta quota.

Sali e scendi

I ricercatori che hanno misurato i livelli dell’acqua nel Lago Qinghai hanno riportato che il livello è diminuito costantemente a un tasso medio di 8 centimetri all’anno dal 1961 al 2004. A quel punto, la tendenza si è invertita e il lago ha iniziato a salire a 18 centimetri all’anno fino alla fine del periodo di studio nel 2019.

La sorprendente inversione di tendenza ha coinciso con le tendenze di riscaldamento e bagnatura, secondo gli autori. Il livello del lago è diminuito prima del 2004 principalmente a causa della diminuzione del flusso del fiume che lo alimenta. Il successivo aumento è stato invece determinato dall’aumento delle precipitazioni e del deflusso dei fiumi, nonché dalla diminuzione dell’evaporazione (non c’è deflusso dal lago). Sebbene una minore evaporazione non sembri intuitivamente legata al riscaldamento atmosferico, i ricercatori notano che gli aumenti di temperatura erano più significativi nei mesi invernali, quando il lago era coperto di ghiaccio, che nei mesi estivi. Le estati hanno visto più precipitazioni, il che significava giornate più nuvolose, maggiore umidità e quindi minore evaporazione.

Laghetti reincorporati

L’evoluzione della lingua di sabbia è uno degli effetti più dinamici delle fluttuazioni del lago. Quando i livelli dell’acqua erano più bassi, più sedimenti del fondale erano esposti ai venti occidentali prevalenti, che li spazzavano verso la sponda orientale del lago. Mano a mano che le dune si accumulavano lì, dividevano il Lago Qinghai in diversi laghi più piccoli, tra cui il Lago Shadao (al centro dell’immagini in alto a sinistra). Questi laghi appaiono isolati dal lago nell’immagine del 2010, ma sono stati per lo più reincorporati nel 2022 (immagine in alto a destra).

Ecosistema fragile

L’importanza del Lago Qinghai e delle sue zone umide va oltre il fatto di essere un indicatore climatico. Molte specie sono endemiche dell’altopiano e la gazzella di Przewalski in via di estinzione vive solo qui, nelle vicinanze del lago. L’ecosistema svolge anche un ruolo fondamentale come sito di riproduzione e sosta per molti uccelli acquatici migratori lungo le rotte aeree dell’Asia Centrale e dell’Asia Orientale.

Immagini del NASA Earth Observatory di Allison Nussbaum, basate su dati Landsat dell’U.S. Geological Survey. Testo di Lindsey Doermann.

Dante Alighieri e la logica

Francesco venne poi, com’io fu’ morto,
per me; ma un de’ neri cherubini
li disse: “Non portar: non mi far torto

Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini
perché diede ’l consiglio frodolente,
dal quale in qua stato li sono a’ crini;

ch’assolver non si può chi non si pente,
né pentere e volere insieme puossi
per la contradizion che nol consente”.  

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XXVII, 112-120)

 

Siamo nell’Inferno, Canto XXVII, dove tra i consiglieri fraudolenti troviamo Guido di Montefeltro, duca di Urbino dal 1293. Fu anche lui capo militare ghibellino, e vinse molte battaglie importanti spesso contro l’esercito papale. Poi divenne frate ed entrò nell’ordine francescano ad Assisi nel 1296, dove morì nel 1298.

La sorpresa del nero cherubino

Mentre era in monastero, Papa Bonifacio VIII gli chiese consiglio per vincere una difficile battaglia. Guido rispose che era in grado di dargli un suggerimento, però consisteva in un inganno e lui non voleva commettere un simile peccato. Ma Bonifacio gli disse: “Non preoccuparti, posso assolverti prima che tu lo commetta”. E Guido acconsentì. Subito dopo la sua morte, però, quando Francesco d’Assisi lo va a prendere personalmente per portarlo in Paradiso (un privilegio dei frati francescani), accade qualcosa di inaspettato: un “nero cherubino”, cioè un angelo dell’inferno, lo ferma. Da notare che abbiamo una lotta tra le potenze del bene e del male simile a quella che avviene per l’anima di suo figlio, Bonconte di Montefeltro. Tuttavia, qui l’esito sarà diverso.

All’inferno!

Il nero cherubino afferma infatti che Guido deve scendere con lui all’Inferno, perché aveva dato un consiglio ingannevole, dopo di che il cherubino gli è sempre stato alle calcagna ­– un’immagine forte per indicare che il diavolo segue il peccatore dal momento in cui viene commessa un’azione peccaminosa fino a quando lo conduce all’Inferno. Ma il capolavoro di Dante è nella logica per dimostrare che portare Guido in Paradiso costituisce una contraddizione delle leggi (cioè degli assiomi) della Chiesa. Infatti, non si può assolvere qualcuno che non si pente, né è possibile pentirsi del peccato e allo stesso tempo volerlo commettere, perché questo porta a una contraddizione. Insomma, di fronte all’evidenza di una dimostrazione logica nemmeno San Francesco può controbattere.

E infatti l’episodio si conclude con l’amara constatazione di Guido:

Oh me dolente! come mi riscossi
quando mi prese dicendomi: “Forse
tu non pensavi ch’io löico fossi”!

Link e approfondimenti

Il “programma” di divulgazione della conoscenza di Dante del Convivio e del De Vulgari Eloquentia.
• Una sintesi del Canto XXVII.