Nelle stanze di David Lynch

Abbiamo visitato l’installazione "Thinking Rooms", ideata dal celebrato regista di Twin Peaks per il Salone del mobile di Milano.

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Nelle stanze di David Lynch

Abbiamo visitato l’installazione "Thinking Rooms", ideata dal celebrato regista di Twin Peaks per il Salone del mobile di Milano.

Come Dale Cooper e Laura Palmer in Twin Peaks, o come Fred Madison in Strade Perdute, si entra nel mondo di David Lynch attraverso una tenda rossa di velluto. Qui siamo però in carne ed ossa, al Salone del mobile di Milano, per visitare l’installazione Interiors by David Lynch. A Thinking Room, firmata da David Lynch e realizzata in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano. Siamo pronti a immergerci in una (doppia) esperienza di cui ancora non sappiamo niente, e che – nell’attesa – ci piace immaginare. Così il pensiero si trova a fantasticare di trovarsi in uno spazio buio, introspettivo, illuminato con luci tenui e calde, decorato con una statua di Venere, un grammofono, un divano in pelle rossa, vinile, ottoni. Intanto sono in coda con una trentina di persone. L’attesa sembra lunga. Vedo entrare chi è di turno, un po’ alla volta, ci vorrà una mezzoretta prima di arrivare.

Twin room
Le indicazioni alle due installazioni gemelle ideate da David Lynch, al Salone del Mobile di Milano (foto A. Parlangeli).

In attesa

La prima parte dell’attesa è più noiosa, non vedo l’ora che arrivi il mio turno e vorrei saltare in testa alla coda. Ma devo aver pazienza, e aspetto dando uno sguardo all’ambiente che mi circonda, alle persone in attesa, ai quadri appesi alle pareti di velluto.

Pensiero, non meditazione

L’attesa si fa più leggera quando, a metà strada, raggiungo uno schermo in cui parla David Lynch intervistato da Antonio Monda, il curatore dell’installazione. «Questa è una stanza unica», dice il cineasta americano. «Non ci sarà nessun’altra stanza come questa». La curiosità aumenta, Lynch sa come tenere alte le aspettative. L’intervista continua. Lynch spiega che quest’opera non ha niente a che fare con i suoi film o con il cinema in generale. E non è nemmeno una stanza per meditare, bensì per pensare. Ma in modo quasi ipnotico ci trascina proprio lì, nella meditazione trascendentale, di cui è un fedele adepto fin da giovane. «Questa sarebbe un’ottima stanza in cui meditare», ammette, «perché è molto tranquilla. Pratico la meditazione trascendentale ed è una tecnica nella quale ti immergi. E immergendosi molte persone hanno idee diverse su dove sia il “dentro” e che cosa sia il “dentro”. Il “dentro” è un campo della coscienza, dentro ogni essere umano al livello più profondo c’è un oceano di pura coscienza (…). C’è chi l’ha chiamato l’Essere, chi l’ha chiamato il “campo unificato”, chi il regno del Paradiso (…). Questo campo è la coscienza ed è un campo di intelligenza, di creatività, di gioia, di energia, di amore e di pace senza confini». Lo trovo un discorso molto bello e poetico, con una precisazione però. Anzi due. Anzi, forse anche tre o quattro, se non di più…

Thinking rooms
Una delle “thinking rooms” vista dall’esterno (foto A. Parlangeli).

Considerazione 1

Lynch implicitamente assume che tramite la meditazione si possa raggiungere, attraverso un’azione soggettiva, uno stato oggettivo, una coscienza condivisa universale. Questo mi sembra un salto logico eccessivo, diciamo che è un atto di fede. Per di più, identificare questo stato mentale con la coscienza è un ulteriore volo pindarico. Però è vero che gli stati mentali che si raggiungono con la meditazione sono probabilmente i più oggettivi tra gli stati mentali. In altre parole, tutti quelli che riescono a raggiungerli provano la stessa esperienza.

Considerazione 2

David Lynch fa poi un passo ulteriore, anzi due, entrambi molto azzardati: identifica lo stato più profondo che si raggiunge con la meditazione con il “campo unificato” della fisica. Qui ci sono altre due trappole logiche. Innanzitutto identificare uno stato mentale con uno stato non solo oggettivo, ma anche fisico, implica un ulteriore salto logico. Come dire che se guardiamo nel vuoto dentro di noi accediamo al vuoto quantistico dello spazio esterno: è un atto di fede. In secondo luogo, nel vuoto quantistico che conosciamo ci sono molti campi, non uno. Il campo unificato a cui allude Lynch è una tra le tante possibilità indagate dalla fisica teorica, ma è un’ipotesi di cui ancora non esiste nemmeno una teoria completa, figuriamoci una prova sperimentale.

Thinking room 2
La sedia all’interno della Thinking Room (foto A. Parlangeli).

Nonostante queste osservazioni, l’intervista mi piace. Lynch è un grande affabulatore, lo si segue con piacere. E poi su molte cose ha ragione. Si può non condividere al 100%, ma è interessante. E poi Lynch e Lynch. Così, mentre resto incollato allo schermo a seguire l’intervista, la coda è avanzata e chi è dietro mi guarda con ostilità. Dunque mi sposto; se non altro restano ormai poche persone, all’improvviso l’attesa è più leggera.

Sulla poltrona

Presto arriva il mio turno. L’assistente mi rassicura che posso fare foto e video, posso perfino sedermi sulla sedia e disegnare quello che mi viene in mente. Così apro le tende rosse e mi ritrovo in un tunnel buio, dal quale si riemerge in uno spazio fin troppo illuminato e affollato, rispetto a quello che mi aspettavo. Al centro, la sedia per pensare, che è vuota. Colgo l’occasione per fotografarla e per sedermi, posso stare al massimo uno o due minuti. Mi guardo intorno. Di fronte a me l’immagine di un impianto industriale, un ambiente tipicamente lynchiano fin dai tempi di Eraserhead. Tutto intorno, alcune nicchie incastonate nelle pareti blu, un colore che secondo Lynch induce calma e riflessione. Rimango lì, a guardarmi intorno in uno stato di consapevolezza e di attenzione. Non trovo però nulla che mi inviti alla meditazione. Osservo le persone che entrano e che escono, osservo i miei pensieri. Prendo un foglio e scrivo “Josway”, lo lascio lì. Poi mi alzo e continuo a esplorare lo spazio in cui mi trovo. È vero, l’ambiente non ha nulla a che fare con le logge bianche e nere, con gli stati mentali di Fred, con Eraserhead e Mulholland Drive; e un po’ mi dispiace.

Thinking room 3
Nella Thinking Room (foto A. Parlangeli).

Doppia esperienza

Quindi esco un po’ deluso rispetto alle aspettative, ma comunque divertito. E non ho nessuna intezione di perdermi la seconda esperienza, quella nella stanza gemella situata nel padiglione adiacente, anche se so già che cosa aspettarmi: è esattamente identica a quella che ho visto. E infatti basta percorrere pochi metri per trovarsi in un altro ingresso, identico al primo, ed entrare in uno spazio identico a rifare la fila. Per fortuna qui c’è meno gente. E ci sono altre persone che, come me, hanno già visto l’altra installazione, probabilmente perché il flusso di gente del Salone del mobile passava prima da lì. Insomma, in questa stanza si respira un’aria diversa. Non ci sono la curiosità e la magia provate prima. Anche il clima d’attesa cambia la percezione, rifletto. E anche per questo, forse, questa seconda esperienza risulta molto più fredda dell’altra. Nella stanza ci sono più persone e sono meno curiose. Passano e se ne vanno, come me.

Link e approfondimenti

• Il sito del Salone del Mobile, con un’intervista al curatore della mostra Antonio Monda.

• Gli articoli dedicati alla meditazione con Daniel Lumera.

• Il libro Da Twin Peaks a Twin Peaks. Piccola guida pratica al mondo di David Lynch (Mimesis) di Andrea Parlangeli.

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