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Il Trilione

Benvenuti e bentornati, viaggiatori del cosmo! Salutiamo chi ci ha appena scoperto e chi invece ci ha scelto perché ha apprezzato la nostra precedente pubblicazione olo-editoriale, Seconda stella a destra. Guida turistica al sistema solare, uscita nel lontano anno astrale 12009, proclamato Anno interstellare dell’astroturismo. Allora eravamo in pieno boom turistico e lo spazio brulicava di navi spaziali dirette da un sistema planetario all’altro. In particolare, dopo un lungo periodo in cui era stato dimenticato dalle migliaia di comunità che avevano colonizzato bracci, disco e bulge della Galassia, il Sistema Solare era tornato ad essere tra le mete più popolari.

Poi, inattesa come il Grande asteroide che segnò la fine dei dinosauri circa 65 milioni di anni fa, è arrivata la crisi economica peggiore del millennio, aggravata successivamente dalla pandemia spaziale che ha isolato pianeti e stazioni orbitali, impedendo a ognuno di lasciare il proprio mondo così da contenere il contagio. La storia dimostra che se c’è una cosa che sa fare la specie umana – l’unica intelligente e tecnologicamente avanzata della Galassia, per quanto ne sappiamo finora – è reagire alle avversità.

Adesso che ci siamo lasciati alle spalle anche questa esperienza e un nuovo periodo di prosperità è alle porte, è tornato prepotente il desiderio di attraversare nuovamente gli spazi siderali per vedere di persona quei panorami che fino a non molto tempo fa potevamo usare solo come sfondo virtuale per le nostre olo-connessioni in remoto.

Locandina del film Space Tourist (2009).

Ecco quindi questa edizione della nostra guida turistica, completamente rinnovata e aggiornata al 12021. Un anno a noi caro non solo perché segna la ripartenza dei viaggi spaziali, ma anche perché festeggiamo il 10.750° anniversario della partenza da Venezia (sulla Terra) del giovane Marco Polo alla volta della Cina.

Un racconto di Marco Polo rappresentato nel “Livre des merveilles”, manoscritto del 1410-1412 (Bibliothéque nationale de France).

Abbiamo eletto a nostro nume tutelare l’antico esploratore veneziano, che probabilmente risulterà sconosciuto a molti dei nostri lettori, perché troviamo in lui le caratteristiche che riteniamo importanti in un viaggiatore: la capacità di coniugare uno sguardo stupito e allo stesso tempo attento, l’entusiasmo per la conoscenza e la voglia di condividerla con il racconto, la consapevolezza che il vero senso del viaggio emerge quando si torna a casa e si porta con sé tutto che si è incontrato sulla via. È quello che speriamo di riuscire a fare anche noi, costruendo con le nostre olo-pagine una sorta di Milione galattico. Ci sembra opportuno chiamarlo Il Trilione, dato che la Via Lattea (l’antico nome della Galassia) contiene circa mille miliardi di pianeti noti e mille miliardi, in notazione numerica terrestre, fanno appunto un trilione!

Ci concentreremo soprattutto sul Sistema Solare, per la sua importanza storica, ma non escludiamo anche puntate al di fuori, alla scoperta dei pianeti delle altre stelle. Rispetto a Marco Polo, infine, abbiamo un innegabile vantaggio: grazie alla propulsione quadridimensionale che ci permette di cavalcare le onde gravitazionali nello spazio-tempo come un surfista viene spinto dai cavalloni che si infrangono a riva (se costituiti da acqua o idrocarburi liquidi, o altro ancora, dipende dal mondo in cui vi trovate, ma il concetto è lo stesso), non dobbiamo aspettare anni della nostre esistenza per tornare a casa come accadde a Marco Polo, partito diciassettenne nel 1271 e tornato ormai maturo, 24 anni dopo.

libro bernagozzii

Pronti per partire? Buon viaggio!

Andrea Bernagozzi

 

Per saperne di più 
• Il libro di Andrea Bernagozzi e Davide Cenadelli, Seconda stella a destra (Sironi Editore).

Nasce Josway, un nuovo sguardo sul mondo

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Con queste lettere che sto battendo sulla tastiera nasce un nuovo sito, un nuovo sguardo sul mondo. Si chiamerà Josway, e come un personaggio immaginario si muoverà nella trama della realtà alla scoperta di luoghi, di storie, di punti di vista nuovi e originali. La sua missione – come si legge sotto il titolo ­– è “leggere, esplorare, sognare”. “Ai limiti della conoscenza”, potremmo aggiungere; perché è lì che, alla fine, ci proietteremo. In un certo senso, lo scopo è reinventare il mondo. Come? Attraverso le storie, le idee, le linee narrative e i progetti che vi proporremo.

Sull’importanza di leggere, credo che non ci sia molto da dire: è il modo migliore che abbiamo per allacciarci ad altre storie e ad altre esperienze, per arricchirci. Per guardare il mondo con mille occhi, i nostri e quelli degli scrittori, di chi ha seguito altre strade, altri percorsi. E Josway cercherà di fare un po’ questo, rivolgendo lo sguardo anche al passato, ma cercando sempre nuovi spunti, nuove strade, nuovi punti di vista. La sua non sarà soltanto una ricerca geografica, entro e oltre i confini del nostro pianeta che cambia; ma anche una ricerca di quanto c’è da scoprire oltre il nostro orizzonte visibile, fin negli angoli più remoti del cosmo ­– lontani nello spazio e nel tempo – fino al Big Bang. E poi ancora dentro di noi, nei nostri corpi, nel nostro cervello, nella nostra mente, nel nostro immaginario – mondi altrettanto vasti e affascinanti da esplorare ­– fino alle frontiere della conoscenza. Per mettere a fuoco il confine, rompere il limite. Per andare oltre.

Nel cercare di spingersi in questi territori con la curiosità di un bambino, sarà inevitabile provare, sperimentare, anche fallire. Perché non c’è progresso senza errore, non c’è viaggio privo di rischi e ostacoli. E soprattutto non c’è innovazione senza confronto, commistione e contaminazione di punti di vista, di idee, di esperienze; senza il coinvolgimento delle persone. Sperimenteremo anche questo, con i nostri autori, e il più possibile con voi lettori. Perché al termine di queste parole cominci finalmente il viaggio, insieme. 

Andrea Parlangeli

La forza degli zeri

Non penso esista luogo letterario nel quale i numeri assurgano in modo più intenso e profondo a metafora della tragica condizione umana dell’incipit dell’Enrico V di William Shakespeare.

L’opera inizia con il Coro che chiede scusa al pubblico a nome degli attori per la loro pochezza nel rappresentare la grande battaglia di Agincourt. Battaglia, svoltasi nella Guerra dei cent’anni, che vide combattere re, nobili, decine di migliaia di uomini e cavalli. Fu così sanguinosa e confusa che alla fine si contarono migliaia di morti da entrambe le parti, tanto che lo stesso re inglese Enrico, aggirandosi alla fine dell’opera sul campo di battaglia devastato, non capisce subito se ha vinto o perso sui suoi “cugini” francesi.

Battaglia di Agincourt
La battaglia di Agincourt, nel 1415 (Lambeth Palace Library, London, Uk).

Nell’incipit, Shakespeare e la sua compagnia invocano la benevolenza del pubblico per i pochi mezzi a loro disposizione e chiedono scusa dell’ambizione dei pochi attori nel pretendere di inscenare una vicenda così epica e grandiosa. E quale metafora usa il drammaturgo per far comprendere come superare questo scarto? Osservate e leggete con me:

…But pardon, and gentles all,
The flat unraised spirits that have dared
On this unworthy scaffold to bring forth
So great an object: can this cockpit hold
The vasty fields of France? Or may we cram
Within this wooden O the very casques
That did affright the air at Agincourt?
O, pardon! since a crooked figure may
Attest in little place a million;
And let us, ciphers to this great accompt,
On your imaginary forces work.

…Ma scusate, pubblico gentile,
Questi banali guitti che hanno osato
Su questa indegna impalcatura offrirvi
Un evento così grandioso: può questo palcoscenico
Contenere le vaste praterie di Francia? Potremo mai
In questo O di legno, stipare anche solo gli elmi
Che intimidirono il cielo di Agincourt?
O scusate! Ma come il segno storto di una cifra può
Significare un milione in poco spazio;
Potremo, noi gli zeri di questo grande racconto, Fare leva sulle forze della vostra immaginazione.

Shakespeare coglie perfettamente e sfrutta simbolicamente quell’aspetto straordinario della notazione posizionale dei numeri arabi: con “il segno storto di una cifra”, a crooked figure (in inglese “cifra” si dice anche figure), ovvero con le cifre dei numeri arabi, “in poco spazio si può scrivere un milione”, attest in little place a million. Ma il vero capolavoro arriva dopo. “Noi guitti, chi siamo, se non una nullità? Ma forse in questo siamo indispensabili, proprio come non si potrebbe scrivere un milione senza gli zeri!” E qui Shakespeare per “zeri” usa proprio la parola ciphers, ovvero cifre nel senso etimologico. Perché cifra deriva dall’arabo sifr, أَلصِّفْر , che a sua volta deriva dal sanscrito śūnya, शून्य, il nulla buddhista. E di sfuggita segnalo anche il modo di indicare il Globe Theatre, dove veniva rappresentata l’opera, con un altro 0, ovvero con un “O fatto di legno”!

Shakespeare dimostra così di aver capito fino in fondo la forza della notazione posizionale dei numeri indo-arabi, che sta nel poter disporre di un segnaposto vuoto. Solo con lo zero si ottiene infatti la grande economia di scrittura che è il punto di forza della notazione posizionale araba su tutte le altre notazioni. La notazione romana era infatti additiva, quindi poco economica. Mentre la rappresentazione araba è l’efficienza per antonomasia. Per scrivere un numero basta una quantità di cifre circa pari al logaritmo del numero stesso. E lo scozzese John Napier (1550-1617), che dei logaritmi è l’inventore, è un contemporaneo di Shakespeare (1564-1616).

Furio Honsell

Honsell

Furio Honsell è docente di Teoria degli Automi all’Università di Udine. Ha pubblicato oltre un centinaio di articoli scientifici sui fondamenti della matematica, la teoria dei tipi, la semantica dei linguaggi di programmazione, la dimostrazione formale e la certificazione formale del software, il lambda-calcolo, la teoria dei giochi, e la salute pubblica. Svolge inoltre un’intensa attività di promozione dell’alfabetizzazione matematica e della cultura del gioco come strumento di inclusione sociale. Attualmente cura la rubrica Giochi Furiosi sul supplemento Enigmistica del Sole 24 Ore. Ha pubblicato alcuni libri di giochi matematici (L’algoritmo del Parcheggio, Mondadori 2007). Ha collaborato con la trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio dal 2003 al 2006. Dal 2011 al 2018 è stato Presidente di GIONA, l’associazione nazionale dei comuni italiani che promuovono il gioco. 

Nello Stretto di Drake

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Chiunque sia stato in Antartide sa che l’attraversamento dell’Oceano australe è un momento di distacco dal resto del mondo. Per almeno due giorni (e anche molto di più, a seconda del tragitto) si naviga in mare aperto, senza nemmeno un’isola a vista d’occhio, in balia di onde di ogni foggia che hanno viaggiato per migliaia e migliaia di chilometri senza aver incontrato terraferma. Lo si potrebbe paragonare a un deserto senza oasi. È uno dei mari più insidiosi del mondo, proprio perché avvolge un intero continente senza essere frenato da alcuna barriera. Ma è soprattutto uno spazio di separazione, che segna la distanza tra le aree popolate dall’uomo e la più sterminata distesa di ghiaccio del pianeta – circa 14 milioni di chilometri quadrati, quanto la superficie degli Stati Uniti e dell’Unione Europea messi insieme – sicché quando finalmente si arriva a superarla, e si vedono da lontano le coste immacolate coperte di neve, è come arrivare su un altro pianeta.

Questa foto è stata scattata sulla Ushuaia, una ex nave oceanografica statunitense trasformata in nave da crociera, mentre attraversa lo Stretto di Drake che separa la Terra del Fuoco dalle isole Shetland Meridionali al largo della Penisola Antartica. I passeggeri a bordo sanno che sta per cominciare per loro una nuova avventura, piena di sorprese. Non sanno ancora che cosa li aspetta; ma sono consapevoli che la realtà che troveranno sarà più ricca di ogni possibile fantasia, e restano quindi in sospeso per un momento indefinito – scrutando sempre l’orizzonte e qualche albatros che li segue da lontano – tra l’immaginazione in volo e l’emozione dell’attesa.

Andrea Parlangeli

La Via Lattea mai vista così

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Un miliardo e ottocentoundici milioni, settecentonovemila settecentosettantuno. È questo il numero esatto di stelle contenute nel catalogo Early Data Release 3 (EDR3) della missione Gaia dell’Esa, l’Agenzia Spaziale Europea. È la mappa più precisa mai realizzata della nostra galassia. E, oltre alle posizioni delle stelle, comprende anche le loro distanze, i loro movimenti, la loro luminosità e il loro colore.

Gaia ci ha messo tre anni per realizzarla, registrando la luce di stelle fino a un milione di volte più fioche di quelle visibili ad occhio nudo (in copertina, Esa/Gaia/DPAC).

Tra i primi risultati scientifici, spicca l’identikit completo di oltre 330 mila stelle nei “dintorni” del Sole (entro 330 anni luce). Prima di Gaia, si conosceva con precisione la distanza solo del 10% di stelle entro questo volume

Mario Lattanzi, Istituto nazionale di astrofisica

Le prime due versioni del catalogo, rese pubbliche rispettivamente nel 2016 e 2018, stanno rivoluzionando la nostra visione della Via Lattea, di cui hanno permesso di sviscerare la formazione ed evoluzione per inserirla nel contesto cosmico globale, la storia di oltre 13 miliardi di anni dell’universo. Con una media di quattro articoli scientifici pubblicati al giorno, la missione – che è stata lanciata nel 2013 – ha un impatto significativo praticamente su tutte le branche dell’astrofisica.

La nuova mappa della Via Lattea, in una raffigurazione che mette in evidenza il movimento delle stelle (Esa).

I ricercatori sono già al lavoro da mesi per realizzare la versione completa del terzo catalogo (Gaia Data Release 3), il cui rilascio è previsto per il 2022, con una serie di dati aggiuntivi tra cui la classificazione dei sistemi binari di stelle, e un catalogo esteso di asteroidi nel Sistema solare. Il satellite continuerà a raccogliere dati per almeno altri due anni (indicativamente fino alla fine del 2025) e seguiranno ulteriori cataloghi man mano che i nuovi dati verranno processati e analizzati.

Il centro di processamento dati a Torino è l’unico in Italia dei sei complessivi sul territorio europeo, interamente dedicato alla validazione astrometrica e contenente tutti i dati di missione per un totale ad oggi di oltre 1,5 petabyte, ovvero 1,5 milioni di gigabyte. L’Inaf vede coinvolte nel Dpac le sue strutture di Bologna, Catania, Firenze, Napoli, Padova, Roma, Teramo e Torino (dove risiede il management nazionale).

«Tra i primi risultati scientifici, ottenuti durante la validazione del catalogo, spicca l’identikit completo di oltre 330mila stelle nei “dintorni” del Sole, ovvero entro una distanza di 100 parsec (equivalente a quasi 330 anni-luce, circa 20 milioni di volte la distanza tra la Terra e il Sole), che ricostruisce la loro distribuzione 3D e i loro moti, classifica le loro proprietà e individua tra esse i sistemi di stelle doppie. Prima di Gaia, si conosceva con precisione la distanza solo del 10 per cento di stelle entro questo volume», commenta Mario Lattanzi, dell’Istituto nazionale di astrofisica  e responsabile nazionale, per conto dell’Asi e dell’Inaf, della partecipazione nazionale alla missione Gaia.

Ma i nuovi dati spaziano su tutta la galassia e oltre, rivelando i movimenti oscillatori delle stelle nelle frange più esterne della Via Lattea, nonché la rotazione delle stelle nella Grande Nube di Magellano, una delle galassie satelliti della nostra, e il “ponte” di stelle che fluiscono verso di essa dalla sua vicina, la Piccola Nube di Magellano.

Oltre ai quasi 2 miliardi di stelle nel nostro angolo di universo, il catalogo comprende anche 1.6 milioni di quasar, i cuori di galassie lontane la cui enorme luminosità proviene dall’attività dei buchi neri supermassicci nei loro centri. Queste osservazioni del cosmo più remoto sono fondamentali per ancorare il nostro sistema “locale” di misure celesti, e con la precisione di Gaia hanno permesso di stimare l’accelerazione del Sistema solare nel suo moto intorno al centro della Via Lattea, pari a 7 millimetri al secondo nel corso di un anno, per la prima volta utilizzando dati in banda ottica.

Per saperne di più: