Chiunque sia stato in Antartide sa che l’attraversamento dell’Oceano australe è un momento di distacco dal resto del mondo. Per almeno due giorni (e anche molto di più, a seconda del tragitto) si naviga in mare aperto, senza nemmeno un’isola a vista d’occhio, in balia di onde di ogni foggia che hanno viaggiato per migliaia e migliaia di chilometri senza aver incontrato terraferma. Lo si potrebbe paragonare a un deserto senza oasi. È uno dei mari più insidiosi del mondo, proprio perché avvolge un intero continente senza essere frenato da alcuna barriera. Ma è soprattutto uno spazio di separazione, che segna la distanza tra le aree popolate dall’uomo e la più sterminata distesa di ghiaccio del pianeta – circa 14 milioni di chilometri quadrati, quanto la superficie degli Stati Uniti e dell’Unione Europea messi insieme – sicché quando finalmente si arriva a superarla, e si vedono da lontano le coste immacolate coperte di neve, è come arrivare su un altro pianeta.
Questa foto è stata scattata sulla Ushuaia, una ex nave oceanografica statunitense trasformata in nave da crociera, mentre attraversa lo Stretto di Drake che separa la Terra del Fuoco dalle isole Shetland Meridionali al largo della Penisola Antartica. I passeggeri a bordo sanno che sta per cominciare per loro una nuova avventura, piena di sorprese. Non sanno ancora che cosa li aspetta; ma sono consapevoli che la realtà che troveranno sarà più ricca di ogni possibile fantasia, e restano quindi in sospeso per un momento indefinito – scrutando sempre l’orizzonte e qualche albatros che li segue da lontano – tra l’immaginazione in volo e l’emozione dell’attesa.
Un miliardo e ottocentoundici milioni, settecentonovemila settecentosettantuno. È questo il numero esatto di stelle contenute nel catalogo Early Data Release 3 (EDR3) della missione Gaia dell’Esa, l’Agenzia Spaziale Europea. È la mappa più precisa mai realizzata della nostra galassia. E, oltre alle posizioni delle stelle, comprende anche le loro distanze, i loro movimenti, la loro luminosità e il loro colore.
Gaia ci ha messo tre anni per realizzarla, registrando la luce di stelle fino a un milione di volte più fioche di quelle visibili ad occhio nudo (in copertina, Esa/Gaia/DPAC).
Le prime due versioni del catalogo, rese pubbliche rispettivamente nel 2016 e 2018, stanno rivoluzionando la nostra visione della Via Lattea, di cui hanno permesso di sviscerare la formazione ed evoluzione per inserirla nel contesto cosmico globale, la storia di oltre 13 miliardi di anni dell’universo. Con una media di quattro articoli scientifici pubblicati al giorno, la missione – che è stata lanciata nel 2013 – ha un impatto significativo praticamente su tutte le branche dell’astrofisica.
I ricercatori sono già al lavoro da mesi per realizzare la versione completa del terzo catalogo (Gaia Data Release 3), il cui rilascio è previsto per il 2022, con una serie di dati aggiuntivi tra cui la classificazione dei sistemi binari di stelle, e un catalogo esteso di asteroidi nel Sistema solare. Il satellite continuerà a raccogliere dati per almeno altri due anni (indicativamente fino alla fine del 2025) e seguiranno ulteriori cataloghi man mano che i nuovi dati verranno processati e analizzati.
Il centro di processamento dati a Torino è l’unico in Italia dei sei complessivi sul territorio europeo, interamente dedicato alla validazione astrometrica e contenente tutti i dati di missione per un totale ad oggi di oltre 1,5 petabyte, ovvero 1,5 milioni di gigabyte. L’Inaf vede coinvolte nel Dpac le sue strutture di Bologna, Catania, Firenze, Napoli, Padova, Roma, Teramo e Torino (dove risiede il management nazionale).
«Tra i primi risultati scientifici, ottenuti durante la validazione del catalogo, spicca l’identikit completo di oltre 330mila stelle nei “dintorni” del Sole, ovvero entro una distanza di 100 parsec (equivalente a quasi 330 anni-luce, circa 20 milioni di volte la distanza tra la Terra e il Sole), che ricostruisce la loro distribuzione 3D e i loro moti, classifica le loro proprietà e individua tra esse i sistemi di stelle doppie. Prima di Gaia, si conosceva con precisione la distanza solo del 10 per cento di stelle entro questo volume», commenta Mario Lattanzi, dell’Istituto nazionale di astrofisica e responsabile nazionale, per conto dell’Asi e dell’Inaf, della partecipazione nazionale alla missione Gaia.
Ma i nuovi dati spaziano su tutta la galassia e oltre, rivelando i movimenti oscillatori delle stelle nelle frange più esterne della Via Lattea, nonché la rotazione delle stelle nella Grande Nube di Magellano, una delle galassie satelliti della nostra, e il “ponte” di stelle che fluiscono verso di essa dalla sua vicina, la Piccola Nube di Magellano.
Oltre ai quasi 2 miliardi di stelle nel nostro angolo di universo, il catalogo comprende anche 1.6 milioni di quasar, i cuori di galassie lontane la cui enorme luminosità proviene dall’attività dei buchi neri supermassicci nei loro centri. Queste osservazioni del cosmo più remoto sono fondamentali per ancorare il nostro sistema “locale” di misure celesti, e con la precisione di Gaia hanno permesso di stimare l’accelerazione del Sistema solare nel suo moto intorno al centro della Via Lattea, pari a 7 millimetri al secondo nel corso di un anno, per la prima volta utilizzando dati in banda ottica.
Anche il Polo Nord (quello magnetico) si muove. Ce lo rivelano i satelliti dell’Agenzia Spaziale Europea, che hanno osservato uno spostamento inatteso verso la Siberia. Con conseguenze importanti per la navigazione, e per i nostri cellulari.
Fin dall’antichità, il Nord è il riferimento principe dei viaggiatori, la direzione da fissare guardando il cielo (la stella polare) o l’ago della bussola. Peccato che anche il Nord si sposti, per lo meno quello magnetico. In passato, forse, non se ne sarebbe accorto nessuno; oggi, invece, il fenomeno è una minaccia per i sistemi di navigazione. Anche perché, ci avvisano i satelliti Swarm dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), la migrazione è sempre più veloce.
Innanzitutto, sia chiaro, il mutamento di cui stiamo parlando ha un’origine naturale. E, per quanto possa essere o sembrare anomalo, l’uomo non c’entra niente: non si tratta di un altro cambiamento innescato dalla nostra attività, e quindi non è uno dei segni caratteristici dell’Antropocene, l’epoca geologica in corso. Si tratta, invece, di un fenomeno che trae origine dalle dinamiche del nucleo terrestre, a migliaia di chilometri sotto i nostri piedi.
In secondo luogo, esistono due tipi di polo nord: uno geografico, l’altro magnetico.
Il primo è il punto di intersezione tra l’asse di rotazione terrestre e la superficie della Terra. Il secondo è definito dal campo magnetico terrestre, ed è il luogo verso il quale puntano le bussole da ogni parte del pianeta (v. figura in alto). A originare quest’ultimo, sono le enormi correnti elettriche che scorrono in profondità sotto i nostri piedi, nel nucleo terrestre. Ed è qui che avvengono le anomalie rilevate dai satelliti.
Che il Polo Nord magnetico si sposti non è una novità. Lo ha sempre fatto da quando è stato misurato per la prima volta, nel 1831. Da allora, si è spostato con una traiettoria contorta, e ora sempre più decisa, dal Nord del Canada verso la Siberia. Tra il 1990 e il 2005, la velocità era aumentata dai valori storici inferiori a 15 chilometri all’anno fino all’attuale velocità di 50-60 km/anno. Nell’ottobre del 2017 ha superato la Linea internazionale del cambio di data a 390 km dal Polo Nord geografico, e ha cominciato a puntare a sud.
Che implicazioni abba tutto questo è difficile stabilirlo. Di certo si sa che il campo magnetico terrestre cambia con il tempo, e ogni tanto si inverte, con il Polo Nord magnetico che prende il posto del Polo Sud e viceversa. Questi scambi sono apparentemente casuali e avvengono in media ogni 450 mila anni. L’ultimo è avvenuto 780 mila anni fa. Su quanto tempo possa durare la transizione, e con quali conseguenze per il pianeta, poco si sa. Di certo, il campo geomagnetico e la posizione del Polo Nord sono importanti per definire il World Magnetic Model, il modello sul quale si basano molti sistemi di navigazione usati da navi, smartphone e Google Maps, per fare alcuni esempi.
Proprio per tener conto del movimento del Nord magnetico, il World Magnetic Model viene regolarmente aggiornato, di norma una volta ogni cinque anni. Ma gli ultimi risultati della missione Swarm sono giunti inaspettati, quindi è stato necessario anticipare la revisione.
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