In principio era il vuoto, una minuscola bollicina di vuoto che a un certo punto cominciò a espandersi, per mezzo di una metamorfosi che la scienza ha appena cominciato comprendere. Guido Tonelli, fisico tra i protagonisti della scoperta del bosone di Higgs al Cern di Ginevra e autore della trilogia Genesi, Tempo e Materia (Feltrinelli), spiega così l’origine dell’universo, secondo quello che definisce “il grande racconto delle origini” della scienza moderna. «C’è un consenso generale su questo», afferma. «Tutte le misure astrofisiche, che sono oramai misure di precisione, e tutto quello che sappiamo del mondo delle particelle elementari ci confermano che l’universo è nato da una fluttuazione quantistica del vuoto e che è ancora in uno stato di vuoto, che è la cosa più sorprendente. Si tratta però di uno stato di vuoto che ha subito una trasformazione, e che ha preso una forma diversa, per cui noi, che ne facciamo parte, lo interpretiamo come pieno di pianeti, pieno di stelle, pieno di galassie e così via».
La natura del vuoto
Non è sorprendente che un tema così profondo, oggetto di discussione filosofica fin dall’antichità e sul quale la scienza apre oggi le porte a nuovi scenari, tocchi ogni essere umano e in primo luogo gli artisti. Abbiamo perciò chiesto a Tonelli, che nei suoi libri fa spesso riferimento alla grande tradizione artistica e letteraria, di dirci che cosa ne pensa. E per comprendere a pieno le sue parole, facciamo una piccola premessa per chiarire il ruolo del bosone di Higgs in questo contesto. Questa particella è importante perché testimonia un passaggio chiave nella storia del cosmo: un momento in cui il vuoto ha cambiato natura.
Metamorfosi cosmica
È successo circa 10-12 secondi dopo il Big Bang (un miliardesimo di millisecondo). Prima di questo istante il vuoto aveva una struttura diversa da ora e anche il cosmo era completamente diverso: le particelle non avevano massa e si muovevano tutte alla velocità della luce, quindi non potevano esistere stati materiali persistenti. Poi – a causa dell’espansione e del raffreddamento dell’universo – la struttura del vuoto è cambiata bruscamente, come un liquido che all’improvviso congeli. Il vuoto si è riempito di una sorta di fluido uniforme detto campo di Higgs. E la forza elettrodebole, che prima era un’unica forza, si separò nella forza elettromagnetica e nella forza nucleare debole. «In quel momento», spiega Tonelli, «il vuoto acquista una proprietà dinamica e diventa un elemento vivo. Le particelle che lo attraversano si differenziano tra loro acquistando masse diverse. Ed è così che si possono costruire forme materiali persistenti come i protoni, i neutroni e gli atomi che costituiscono noi stessi e il mondo in cui viviamo».
Guido Tonelli, in seguito alla tua esperienza, in che rapporto reciproco sono l’arte e la scienza?
Per me l’arte e la scienza sono due modi diversi di porsi domande molto simili. In realtà, a prima vista, a colpire sono soprattutto le differenze. In campo scientifico, si lavora con migliaia di persone, si usano strumenti tecnologici raffinatissimi, si usa la ragione alla massima potenza cercando di mantenere il controllo più totale delle intuizioni e delle emozioni. Tutto viene sottoposto a una verifica stringente. In campo artistico, invece, c’è tipicamente una persona o un piccolo gruppo di persone che svolgono anch’essi una ricerca su base estetica, intuitiva, confrontandosi tra loro. Ma dietro le differenze, che sono enormi, tra scienza e arte ci sono molti punti di contatto, perché in realtà sono due modi diversi di cercare qualcosa di essenziale. Noi scienziati ricerchiamo una spiegazione dei fenomeni materiali, ma alla fine siamo interessati a sviluppare un racconto delle origini, quindi cerchiamo uno strumento che ci spieghi da dove viene tutto questo, e perché siamo qui. La domanda che si fanno gli artisti veri, che siano poeti o artisti figurativi, è abbastanza simile, in quanto anche loro cercano una base fondamentale dell’esistenza. Cercano la bellezza, spingendo i criteri estetici fino al limite. Cercano un nuovo senso. E in questo siamo molto vicini.
Un altro punto di contatto è l’estremo rigore. Un grande artista conosce tutte le opere del passato e cerca di creare qualcosa che si colleghi alla tradizione ma senza riprodurla, va oltre. E lo stesso facciamo noi. Noi conosciamo tutte le teorie scientifiche del passato e cerchiamo qualcosa di nuovo, qualcosa di inaspettato, qualcosa che faccia crollare la visione del mondo che si è avuta fino a quel momento per costruirne una nuova.
Il punto in comune più forte tra arte e scienza, secondo me, è però il fatto che sono entrambe attività fondamentali per tenere insieme la comunità umana. Lo vediamo già con gli uomini primitivi, quando nel paleolitico producevano le prime amigdale, preoccupandosi non solo che avessero i bordi taglienti, cioè che fossero funzionali, ma anche che fossero strumenti bifacciali, simmetrici, ben fatti e belli a vedersi. Lo vediamo anche nelle grotte dipinte che ci hanno lasciato… Tutto questo nasce da un’unica spinta, cioè dall’esigenza di una comunità umana che costruisce simboli, legami. Una comunità che costruisce in ultima analisi un racconto che tiene assieme, che è il racconto mitologico delle origini che diventerà filosofia, religione, scienza e che quindi in questo non differisce sostanzialmente dal racconto estetico di un artista o di un protoartista che affrescò una grotta in un ambiente lontano nel tempo.
Che cosa può dare l’arte alla scienza e che cosa la scienza all’arte?
Posso rispondere a titolo personale, raccontando la mia esperienza. Sono un grande appassionato di scienza, ovviamente, è il mio lavoro. Ma sono anche appassionato di arte, di musica, di balletto, di opera, di arti figurative e tanto altro. Quello che noto è che il contatto con gli artisti e con le loro opere mi spinge a esplorare nuove strade: ogni volta che vedo qualcosa di nuovo che mi impressiona, mi emoziona, mi fa piangere e muove le corde della mia sensibilità – questa è la potenza dell’arte, no? – è come se la mia parte razionale, quella che uso nel mio lavoro, si arricchisse di qualcosa che penso abbia un ruolo anche nel produrre uno scarto, nel generare una deviazione, nell’uscire da alcuni sentieri già tracciati. Questo è un aspetto fondamentale del nostro lavoro. Perché alla fine gli scienziati cercano in primo luogo di battere strade mai percorse prima, e il contatto con gli artisti ci permette di assorbire stimoli utili per la ricerca di vie alternative, o di invenzioni, o di scarti rispetto al percorso principale.
Dal punto di vista degli artisti, posso citare senza pretesa di generalità il rapporto fecondo con ho avuto recentemente con Michelangelo Pistoletto, che come artista si pone esattamente gli stessi problemi che mi pongo io: Da dove siamo nati? Da dove veniamo? Secondo lui, l’arte è scienza. Cioè l’arte è una forma con cui l’artista cerca di far vedere, di mostrare alla comunità che cosa dice la scienza. Infatti una delle sue opere che mi ha colpito di più è Autoritratto di stelle, una scultura che rappresenta una figura umana – l’artista stesso, lui – tratteggiata con punti che sono galassie. L’opera è stata ispirata dal tappeto di galassie ripreso da Hubble, l’Hubble Deep Field, che ha impressionato l’artista. E vi ho trovato, con gli occhi di scienziato, anche un dato scientifico, cioè il fatto che i nostri atomi, i nuclei, tutto quello di cui siamo fatti in realtà sono stati prodotti all’interno delle stelle, a cominciare dalle grandi stelle delle generazioni precedenti il Sole, che hanno generato il calcio, il ferro, il fosforo, l’ossigeno, cioè tutto ciò che compone il nostro corpo e il pianeta che abitiamo.
Michelangelo Pistoletto traccia il segno del Terzo Paradiso, da lui ideato, in occasione del Rebirth Day.
Il punto più alto della fisica contemporanea mi sembra sia stato toccato nella seconda metà del ’900 con la teoria quantistica dei campi, quando si è arrivati a una visione dell’universo in termini di simmetria, e alla storia dell’universo in termini di successive rotture di simmetria (alcune ipotetiche, altre dimostrate). Cioè si parte da una simmetria iniziale molto ampia, che poi via via si restringe spontaneamente per dare vita alle svariate forme del cosmo. L’universo, in un certo senso, mentre prende vita diventa sempre più “imperfetto”. Tu stesso hai scritto un libro che si intitola La nascita imperfetta delle cose (Rizzoli). Qual è il tuo punto di vista?
Sono d’accordo, infatti una delle cose che accomuna noi scienziati agli artisti è il fatto che ricerchiamo simmetrie. E le simmetrie sono uno strumento potente di indagine che ci ha permesso di scoprire leggi di conservazione, principi della natura incredibili. Fin dal Rinascimento, e prima ancora nella Grecia antica, anche gli artisti hanno sempre cercato simmetrie. Quindi c’è un enorme punto di contatto perché le leggi della fisica non sono solo potenti, ma in alcune formulazioni sono anche esteticamente belle. È bello non solo il concetto che esprimono, ma anche la loro formulazione, per la capacità che hanno di condensare in pochi simboli – vedi?, tornano ancora i simboli – un’enorme quantità di fenomeni. Basti pensare all’equazione di campo della Relatività generale di Einstein, in cui è condensato un universo in pochi simboli… assomiglia a un’opera d’arte, o no?
E poi c’è la questione della rottura della simmetria, che è ancora più intrigante perché anche lì gli antichi – basti pensare ai grandissimi, a Michelangelo, a Leonardo – avevano capito da tempo immemorabile che la simmetria perfetta, per quanto interessante, bella, rende un’opera noiosa e piatta; e quindi introducono spesso con grande consapevolezza elementi di rottura della simmetria grafica. In un mio libro faccio l’esempio di Giorgione e della sua Pala di Castelfranco, in cui è raffigurata una lancia che viene inserita di traverso al quadro, ma ci sono infiniti esempi, a partire dalla Gioconda con il suo sorriso e quella lieve asimmetria ai due lati del viso molto studiata dagli storici dell’arte. La rottura di simmetria rende infatti più intrigante e interessante, più coinvolgente, un quadro. E la cosa che mi ha sempre intrigato è l’idea che noi al Cern, fino alla scoperta recente del bosone di Higgs, abbiamo lavorato proprio per capire la rottura della simmetria elettrodebole. Siamo riusciti a capire qualcosa di fondamentale nel mondo da quando abbiamo messo a fuoco e trovato una spiegazione convincente di questa anomalia che spiega la differenza tra un fotone (portatore della forza elettromagnetica, ndr) e una particella W o Z (portatrici della forza debole, ndr), che altrimenti sarebbero assolutamente equivalenti. Ecco, investigando su questa rottura di simmetria siamo arrivati a capire qualcosa di fondamentale dell’universo. La stessa speranza abbiamo ancora ora. Stiamo investigando, e speriamo di scoprire, la supersimmetria, cioè una simmetria ancora più ampia che si sarebbe rotta nei primissimi istanti dell’universo e che magari ci permetterà di scoprire nuove interazioni, nuove particelle elementari fino a spiegare l’origine della materia oscura, uno dei gradi misteri della fisica contemporanea. Quindi il percorso di ricerca di simmetrie e di bellezza, e insieme quello di ricerca della rottura di simmetria, cioè di quelle che chiamiamo catastrofi o trasformazioni, nella scienza contemporanea è estremamente vitale.
Link e approfondimenti
• Il libro La nascita imperfetta delle cose (Rizzoli) e la trilogia Genesi, Tempo e Materia (Feltrinelli) di Guido Tonelli. In Materia (a destra), in particolare, si parla del confronto tra l’autore e l’artista Michelangelo Pistoletto.
• La mostra Michelangelo Pistoletto. Molti di uno (2 novembre 2023 –25 febbraio 2024) al Castello di Rivoli (To).
• Le opere Autoritratto di stelle e Il terzo paradiso di Michelangelo Pistoletto.
• Il sito della Fondazione Pistoletto, Cittadellarte, TerzoParadiso.org.
• L’intervista su Josway su Arte&Scienza a Stavros Katsanevas.