Il Cern, l’arte e i misteri dell’universo

La direttrice di Arts at Cern ci accompagna negli spazi del nuovo Science Gateway progettato da Renzo Piano, alla scoperta di artisti che hanno lavorato a contatto con gli scienziati. E ci racconta il suo punto di vista su arte e scienza.

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Il Cern, l’arte e i misteri dell’universo

La direttrice di Arts at Cern ci accompagna negli spazi del nuovo Science Gateway progettato da Renzo Piano, alla scoperta di artisti che hanno lavorato a contatto con gli scienziati. E ci racconta il suo punto di vista su arte e scienza.

Quando si arriva al Cern, giungendo da Ginevra lungo la Route de Meyrin, si passa sotto un ponte che collega due grandi tubi in vetro e metallo. È il nuovo Science Gateway, progettato da Renzo Piano per accogliere i visitatori del celebre centro di ricerca e per ospitarne le attività di outreach. Cento metri sotto la struttura – che curiosamente assomiglia a un grande binocolo – scorrono fasci di protoni che vengono fatti scontrare tra loro all’interno del Large Hadron Collider, il più grande acceleratore di particelle al mondo. O, se vogliamo, il più grande e potente microscopio esistente.

A tavola con gli scienziati

Sono qui per incontrare Mónica Bello, curatrice e responsabile del programma Arts at Cern. Mónica ha gli occhi chiari e i capelli lunghi. È una storica dell’arte spagnola, con un’esperienza che passa per il CCCB di Barcellona, la Biennale di Venezia, Art Basel. Ci salutiamo all’ingresso e subito mi porta nello spazio dedicato alla mostra Exploring the Unknown. «Dal 2012, quando è arrivato il primo artista, abbiamo portato avanti la missione di far dialogare le arti e la scienza, invitando gli artisti a trascorrere un periodo di residenza al Cern», spiega. «E li supportiamo, anche finanziariamente e concettualmente, per sviluppare nuove opere». È questo, infatti, lo scopo principale di Arts at Cern. Gli artisti hanno così la possibilità di incontrare gli scienziati a mensa, davanti a un caffè, in ufficio, nel corridoio del dipartimento di fisica teorica, nelle sale di controllo e sottoterra, dove si svolgono gli esperimenti: ogni occasione è buona per chiarire un dubbio, per sviluppare un’idea, o anche semplicemente per parlare.

Il cosmo in un tubo

Siamo all’interno di uno dei tubi che formano il grande binocolo. Di fronte a noi, oltre l’ampia vetrata, si stagliano le montagne francesi del Giura spruzzate di bianco. «Finora non abbiamo mai avuto uno spazio espositivo», continua Bello, «quindi questo è uno spazio nuovo dove arte e scienza si incontrano attorno a un tema. Il tema di questo intero tubo è l’universo. Dall’altra parte del tubo (quella che guarda dalla parte opposta, verso la città di Ginevra, ndr) c’è il Big Bang e l’evoluzione del cosmo, con una spiegazione più scientifica; qui invece è rappresentato l’universo futuro, con le domande senza risposta interpretate dagli artisti dopo aver trascorso del tempo con noi».

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Round About Four Dimensions (2023) di Julius von Bismarck e Benjamin Maus è la proiezione in uno spazio 3D di un tesseratto. Oltre la vetrata del Science Gateway, la Route de Meyrin e le montagne del Giura (Foto Marina Cavazza).

Tessaratto meccanico

Le quattro opere presenti nella stanza sono state prodotte appositamente per questa esposizione. La prima è una struttura metallica che rappresenta una figura geometrica. La riconosco subito: è la proiezione tridimensionale di un ipercubo, o tesseratto, cioè la generalizzazione del cubo in quattro dimensioni. «È un’opera di Julius von Bismark, che è stato il nostro primo artista residente», spiega Bello. «Di solito la figura si muove e si espande fino a raggiungere un’altezza di due metri. L’artista era interessato ai limiti dell’immaginazione e ha deciso di costruire una macchina molto complessa in grado di funzionare in modo autonomo e trasmettere l’idea delle extra-dimensioni».

Il video mette in evidenza i mutamenti costanti dell’opera Chroma VII del coreano Yunchul Kim. 

L’universo nascosto

In questo momento, il tessaratto è fermo in posizione di riposo, perché si sta ricaricando. E lo fa attraverso il pavimento, senza cavi. A muoversi è invece un’altra opera, che pende dal soffitto al centro della sala. Si chiama Chroma VII ed è una specie di nodo che si avvolge su sé stesso, ma ogni tanto si anima e cambia colore come se fosse uno strano essere vivente. «L’artista, Yunchul Kim, coreano, è affascinato dai nodi», spiega Bello. «È stato qui nel 2018 ed è tornato; si era interessato alle tecnologie di rilevamento, quindi per un po’ ha sviluppato nuovi materiali per questo tipo di applicazioni». L’opera fa pensare alle extra-dimensioni compatte nella teoria delle stringhe. «Sì, potrebbe essere», reagisce Bello. «Quest’opera offre molte letture diverse e l’artista è abbastanza generoso da dire che ognuno la può interpretare come desidera. Ma quello che voleva rappresentare era l’azione di fenomeni nascosti su scala subatomica e cosmologica».

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Ryoji Ikeda, data.gram [n°4], 2023 (Foto M. Cavazza).

In simbiosi con la tecnologia

La terza opera, verso la quale ci spostiamo, è del giapponese Ryoji Ikeda. «È arrivato al Cern nel 2014 e l’anno successivo si è ispirato alle diverse scale di aggregazione della materia dal micro-mondo all’intero universo», prosegue Bello. Siamo di fronte a cinque schermi che aggregano dati scientifici di natura diversa, dagli scontri tra particelle osservati al Cern al genoma umano, fino alla distribuzione su larga scala delle galassie nell’universo. «L’opera è stata esposta alla Biennale di Venezia del 2019, era l’ultima negli spazi dell’Arsenale», racconta Bello prima di rivolgere l’attenzione alla successiva. «E qui siamo a Chloé Delarue, un’artista di Ginevra che sta seguendo un percorso davvero interessante, perché dopo essere stata qui, nel cuore dell’Europa, sta andando all’European Southern Observatory (ESO) in Cile, dove gli esseri umani sono quasi del tutto assenti e c’è un grande sito astronomico operato da remoto. Nel video esposto qui, che dura circa 40 minuti, l’artista sviluppa l’idea di come gli esseri umani e la tecnologia abbiano una relazione simbiotica».

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Chloé Delarue, TAFAA – TINA UNFOLLOW ALICE, 2023 (Foto M. Cavazza).

Due mondi a confronto

Terminato il percorso, ci ritroviamo all’ingresso della sezione didattica dedicata al Big Bang. Tra non molto Mónica deve andare, ma c’è tempo per un paio di domande sulle quali mi interessa il suo punto di vista.

Che cosa pensi che l’arte possa dare alla scienza?

Innanzitutto, penso che arte e scienza insieme, in un mondo travagliato come quello di oggi, possono dare speranza, la speranza che serve per andare avanti. Questa è una cosa di cui sono davvero convinta. Poi penso che la scienza non possa camminare da sola; non può essere una disciplina isolata, ma deve essere parte integrante della cultura e della società. E l’arte aiuta la scienza in questo.

Mónica Bello
Mónica Bello, direttrice del programma Arts at Cern (Foto Courtesy M. Bello).

Proprio questo fa parte della tua missione qui al Cern, giusto?

Sì, la nostra missione è quella di riunire le diverse voci, la pluralità del nostro mondo. La missione è anche quella di rispondere a una richiesta che abbiamo avuto fin dall’inizio del Cern, negli anni ’70. Già allora c’erano artisti come James Lee Byars interessati al Cern, perché gli artisti hanno sempre voluto bussare alla porta dei laboratori per capire che cosa cercano gli scienziati in un ambiente di ricerca fondamentale. Si domandano che cosa facciano qui. Quindi noi abbiamo il compito di rispondere anche a questa richiesta; e il risultato che vediamo è che l’arte trasmette il linguaggio molto complesso della scienza in un modo molto più gentile e più intimo per chiunque. Quindi c’è un aspetto sociale in questa interazione che è molto importante per noi.

Ci sono similitudini e punti di contatto nel modo di lavorare degli artisti e degli scienziati?

Sì, penso soprattutto a come un’idea si forma nella mente: questo punto di partenza è comune per gli artisti e per gli scienziati. C’è poi un certo rigore, e c’è lo slancio con il quale artisti e scienziati cercano una risposta, creano gli strumenti e le metodologie che producono questa risposta, oppure creano un’altra domanda. Questa formazione di un’idea e il suo sviluppo sono una cosa comune tra i due mondi.

Pensi che le idee possano cambiare il mondo?

Sì. Possono cambiare il mondo o possono cambiare la nostra prospettiva; perché il nostro mondo è in continua trasformazione e un artista è molto agile nell’evidenziare i cambiamenti che stanno accadendo intorno a noi.

Link e approfondimenti

• Le interviste su arte e scienza a Guido Tonelli e a Stavros Katsanevas.
• Il sito di Arts at CERN, con la mostra Exploring the Unknown.
• Il sito del Cern e quello del nuovo Science Gateway.
Arte e scienza su Josway.
• L’Art and Science Summit, che vedrà protagonisti scienziati e artisti al Science Gateway del Cern il 30 gennaio 2024.

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