Nel labirinto di Franco Maria Ricci

Siamo stati a Fontanellato (Pr) per esplorare un luogo ricco di significati, nato dalle conversazioni tra il raffinato editore parmigiano e lo scrittore argentino Jorge Luis Borges.

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Nel labirinto di Franco Maria Ricci

Siamo stati a Fontanellato (Pr) per esplorare un luogo ricco di significati, nato dalle conversazioni tra il raffinato editore parmigiano e lo scrittore argentino Jorge Luis Borges.

Tutto cominciò quando Zeus, sotto forma di toro, approdò su una spiaggia di Creta con Europa in groppa. Comincia così una lunga saga che porta alla costruzione del labirinto più famoso della storia, quello di Cnosso, nel quale viveva il Minotauro che ne era al tempo stesso prigioniero e signore. Da allora il labirinto è simbolo di un luogo, o forse di un processo, in cui è necessario entrare, perdersi e uscirne rinnovati.

Fu così che quando Franco Maria Ricci, aristocratico editore di origini genovesi, negli anni ’80 del Novecento ospitò a Fontanellato lo scrittore argentino Jorge Luis Borges – che vedeva il labirinto come metafora della condizione umana – ne rimase per così dire intrappolato. E decise di creare lì, nella sua tenuta della Masone in provincia di Parma, il labirinto più grande del mondo.

Veduta della Corte Centrale dai portici del lato ovest. Credits Mauro Davoli
Labirinto della Masone, veduta della Corte Centrale dai portici del lato ovest (Foto Mauro Davoli).

Una scelta di vita

Quando si arriva in macchina in prossimità di questo luogo, ci si trova di fronte a un muro fitto di vegetazione. Un muro di bambù. «Questa era la tenuta di campagna della sua famiglia, era di sua nonna», racconta Edoardo Pepino, direttore attuale della struttura. «Un tempo non c’era niente qui. A cento metri, c’era la cascina dove abitava Franco Maria Ricci, che fino al 2005 divise la sua vita tra Milano e Fontanellato. Poi avviò la costruzione del labirinto e si trasferì qui definitivamente».

Arte e bambù

Il complesso si estende su otto ettari e racchiude tutta l’eredità umana e culturale dell’editore. C’è infatti un museo che vanta, tra l’altro, la presenza di quadri di Ligabue e di sculture di Adolfo Wildt, oltre a edizioni di prestigio tra cui l’immaginifico Codex Seraphinianus dell’artista Luigi Serafini. Ci sono due sale conferenze, dedicate a Jorge Luis Borges e a Italo Calvino. E c’è il labirinto, costituito da centinaia di migliaia di piante di bambù di una ventina di specie diverse, da quelle nane che non superano i 30 centimetri a quelle giganti che arrivano a 15 metri. «Era appassionato di bambù perché è una pianta che non si ammala, non perde le foglie e assorbe grandi quantità di CO2», commenta Pepino. «Tutte le specie che ci sono qui le ha sperimentate direttamente».

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Il percorso si snoda tra i bambù. Ve ne sono di circa venti specie diverse, alti fino a oltre 15 metri (Foto A. Parlangeli).

“Anni fa, in Francia, scoprii un luogo meraviglioso: la Bambouseraie d’Anduze. Si tratta di un vivaio fondato a metà dell’800, che ospita oltre 200 specie diverse di bambù. È la più grande piantagione esistente in Europa, forse nemmeno in Oriente esiste qualcosa del genere. Fu lì che mi innamorai del bambù e decisi di coltivarlo nelle terre che circondano la mia casa di campagna, a Fontanellato” (F. M. Ricci)

Filo di Arianna

Quando si entra nel labirinto, si prova una grande senso di pace e di armonia; ma anche di divertimento. Per qualche istante, ci si ritrova bambini e ci si diverte a perdersi in un ambiente che in realtà non sembra mai ostile. Anzi, attraverso una serie di pannelli ben posizionati che forniscono un po’ una traccia, un filo di Arianna, si scopre la genesi del luogo e della sua ragion d’essere. Il labirinto si racconta.

Croce e spirale

Così si ritrova la leggenda di Minosse e di Teseo, madre di tutti i significati del labirinto… Anche se in realtà l’idea stessa di labirinto è ancora più antica, radicata nella nostra cultura come un archetipo. Come simbolo a forma di spirale, che contiene al suo centro una croce, compare in molte raffigurazioni rupestri, per esempio in Valcamonica. Lo stesso Franco Maria Ricci, attraverso i pannelli, racconta come il labirinto classico compaia in tre forme: quella cretese a sette spire (associata anche alla città di Troia), quella romana con angoli retti; quella cristiana a undici spire. “Scelsi di ispirarmi alla seconda”, ha scritto, “introducendo qua e là bivi e vicoli ciechi che nei labirinti romani, rigorosamente univiari, non c’erano”. Però dei labirinti romani resta l’impianto basto su due linee ortogonali che si incontrano al centro, come il cardo e il decumano delle città e degli accampamenti. E come il simbolo antico della croce. “C’è dunque un centro, nel mio labirinto”, conclude l’autore, “e c’è un perimetro a forma di stella; forma che compare per la prima volta nel Trattato di Architettura del Filarete, e in seguito fu adottata da Vespasiano Gonzaga a Sabbioneta, dalla Repubblica Veneta a Palmanova in Friuli e dal Vauban nelle sue architetture militari”.

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Una statua di Adolfo Wildt nel museo (Foto A. Parlangeli).

Team building

La costruzione del labirinto durò dieci anni. Quando fu terminata, nel 2015, Franco Maria Ricci non era più in grado di percorrerlo a piedi, perché le condizioni di salute non glielo permettevamo. «Ma la visita al labirinto rimase per lui un’attività quasi quotidiana», ricorda Pepino. Gli piaceva portare lì gli ospiti, per proiettarli nel suo mondo. «Il labirinto era per lui un argomento costante di conversazione», continua il direttore. «Quando la struttura aprì al pubblico ebbe subito successo, e per lui fu una grande soddisfazione».

In Francia e in Gran Bretagna ci sono labirinti più grandi di questo. Ma sono stagionali: vengono realizzati nel periodo della mietitura nei campi di granturco e attraggono molti visitatori

Da allora, il successo del pubblico non ha fatto che aumentare. «Dopo la pausa del Covid, quest’anno c’è stato un aumento considerevole e abbiamo superato i centomila biglietti», conclude Pepino. «Ci sono visitatori di ogni genere e abbiamo molti stranieri, in percentuale più di quanti ne vadano a Parma. Di domenica ci sono molte famiglie, mentre durante la settimana ci sono più spesso gli appassionati d’arte che vengono per le mostre. Alcuni sono interessati esclusivamente agli eventi, che sono una voce importante delle nostre attività. Abbiamo infatti un team che organizza concerti, conferenze e tanto altro. E poi ospitiamo eventi conto terzi, principalmente aziende. Ci sono molti manager che vengono qui; il team building è una delle attività più richieste. Perché il labirinto non è solo un gioco, può essere anche un esercizio mentale molto stimolante».

Link e approfondimenti

• Il sito ufficiale del Labirinto della Masone.
La vita di Franco Maria Ricci.
• Un articolo sul Codex Seraphinianus (in inglese).
• I racconti “La casa di Asterione”, “I due re e i due labirinti” e “Abenjacàn il Bojarì ucciso nel suo labirinto”, nel libro Aleph (1949) di Jorge Luis Borges. Anche il racconto “La biblioteca di Babele” (1941), dello stesso scrittore.
• Il racconto “Il minotauro” di Friedrich Dürrenmatt (1985).
• Il racconto “La sfida al labirinto” di Italo Calvino (1962).
• La Bambouseraie en Céevennes.
• Il libro Labirinti italiani (Pendragon) di Ettore Selli. Qui una presentazione.
• Il sito della rivista Caerdroia (in inglese).
• La matematica dei labirinti.
Il sito di Adrian Fisher, il più prolifico progettista di labirinti al mondo. Dal 1979, ne ha realizzati più di 700 in 42 Paesi diversi (in Inglese).

Andrea Parlangeli
Andrea Parlangeli
Andrea Parlangeli è fisico (PhD) e giornalista, caporedattore del mensile Focus. Appassionato di scienza, tecnologia e innovazione, nel 2019 ha conseguito un Executive MBA presso il MIP/Politecnico di Milano. Ha scritto diversi libri, tra cui Uno spirito puro. Ennio De Giorgi, genio della matematica (Milella 2015, Springer 2019) e Viaggio all’interno di un buco nero (StreetLib, 2019). È stato curatore di La nascita imperfetta delle cose (Rizzoli 2016) di Guido Tonelli, sulla scoperta del Bosone di Higgs; La musica nascosta dell’universo (Einaudi 2018) di Adalberto Giazotto, sulla scoperta delle onde gravitazionali ; Benvenuti nell'Antropocene (Mondadori, 2005) del premio Nobel Paul Crutzen, padre del termine "antropocene" .

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