Un pranzo ad Amatrice

Da Fabriano ad Amatrice, attraverso un territorio devastato dai terremoti del 2016 e 2017, per un piatto di spaghetti.

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Un pranzo ad Amatrice

Da Fabriano ad Amatrice, attraverso un territorio devastato dai terremoti del 2016 e 2017, per un piatto di spaghetti.

Oggi ho deciso di andare a pranzo ad Amatrice, per un piatto come si deve di spaghetti all’amatriciana. Non li mangio mai, perché l’amatriciana è un sugo troppo carico per i miei gusti. E poi non ho mai capito bene la ricetta; anzi, ho sempre avuto la sensazione che fosse uno dei sughi più contraffatti al mondo. “Eh, ma come la fanno ad Amatrice…” mi sono sentito dire più volte. Per capire davvero, non mi restava che una possibilità: andare proprio lì. 

Parto alle 9:00 da Fabriano, ho tutto il tempo che mi serve. Il navigatore indica 2:30 di viaggio, per 130 km di strada. Faccio in tempo a passare anche da qualche altro borgo. Opto per Camerino. Ed è una brutta sorpresa: la città è ancora tutta chiusa per ragioni di sicurezza, dopo il sisma del 2016. Il centro storico è zona rossa, non si può accedere. E a controllare trovo in una piazzetta un presidio dell’esercito. Risultato: perdo più di un’ora, non vedo nulla e non riesco a prendere neanche un caffè perché è tutto chiuso.

Camerino
Camerino, Piazza Cavour (A. Parlangeli 2021).

Mi rimetto in marcia e da qui in poi è uno strazio continuo. Case puntellate con il legno, macerie, ogni tanto si apre uno squarcio in qualche muro. Nemmeno un bar per fermarsi a prendere un caffè. L’occhio cade su uno striscione: “Benvenuti nel dimenticatoio d’Italia”.

Su uno striscione c’è scritto: “Benvenuti nel dimenticatoio d’Italia”

I problemi si acuiscono nella verde Valnerina. Qui ogni tanto si incontra una casa sventrata, con le piastrelle di quello che era un bagno che ora affacciano sulla strada. Mi sento a disagio. Come se, semplicemente guardano, stessi violando la privacy di una famiglia. Ed è tutto così, fresco, come se fossero passati solo pochi giorni invece di cinque anni.

Valnerina
Una casa sventrata in Valnerina (A. Parlangeli, 2021).

Si vedono anche le case prefabbricate, per gli sfollati dalla tragedia. A prima vista, sono come nuove. Tutte ordinate in fila, ciascuna con i suoi pannelli solari e un contenitore per l’acqua calda sul tetto. Viene però da chiedersi come viva la gente lì, quale sia la realtà oltre l’apparenza: quanta superficie avrà a disposizione ogni abitante? Quanta privacy? Come si saranno modificati i rapporti tra concittadini? E poi oggi è un’afosa giornata di giugno: che temperatura ci sarà in quelle abitazioni? Ci sarà l’aria condizionata?

Castelsantangelo sul Nera
Castelsantangelo sul Nera (A. Parlangeli, 2021).

Le domande restano senza risposta. Fino a Castelsantangelo sul Nera, un piccolo borgo che resta impresso per le mura difensive della sua fortezza, che tracciano un triangolo del bosco, alle pendici della montagna. Da lì è tutta una salita fino all’altopiano di Castelluccio; che adesso, a fine giugno, è nel pieno della fioritura con tutto il suo ventaglio di colori. La natura, a differenza delle città, cancella le tracce dei terremoti, cosicché l’altopiano disabitato è una piacevole pausa ai drammi dell’umanità.

Castelluccio
I campi fioriti di Castelluccio (A. Parlangeli, 2021).

Ma poi giù, oltre il passo, lo strazio ricomincia. Il primo centro che si trova, una frazione di Arquata del Tronto, è un cumulo di macerie. La chiesa, che tra le sue mura ospita più buchi che mattoni, non si capisce come riesca a stare in piedi. Nel passare, si ha il timore che lo spostamento d’aria la faccia crollare definitivamente da un momento all’altro.

Arquata del Tronto
Il campo di casette provvisorie ad Arquata del Tronto (A. Parlangeli, 2021).

Sulla Via Salaria c’è ancora un ostacolo: un’interminabile serie di lavori che costringono a muoversi a senso unico alternato. E, alla fine, ecco i primi cartelli che indicano Amatrice. Ci sono molti carabinieri, alcuni hanno fretta e mostrano insofferenza. Poi militari, polizia… un dispiegamento di forze senza senso per un’anonima giornata estiva come questa. Il passaggio attraverso quello che una volta era il centro è impressionante. La città non c’è più, c’è solo una via tra le macerie in cui il visitatore è tollerato, più che accolto, ospitato. E dove non ci si può fermare, né camminare.

Amatrice
La strada tra i detriti del centro storico ad Amatrice. È consentito solo il transito su una vettura (A. Parlangeli, 2021).

Tutto è esattamente come era cinque anni fa. I militari non hanno lasciato spazio ai muratori, e c’è da chiedersi per quanto tempo rimarranno ancora là. Ho la sensazione di violare un divieto, mi sento tollerato più che accolto, e siccome della situazione non ho ancora capito niente mi fermo per cercare un ristorante con il navigatore, anche se ormai di mangiare non ho più voglia. Mi rendo allora conto che la città è divisa in zone. C’è la solita area residenziale, con le casette tutte uguali. E poi c’è un’area commerciale, e una destinata alla ristorazione, con tutte le strutture disposte attorno a uno spazio centrale e una scuola alberghiera. Nonostante tutto, c’è una bella atmosfera qui, e anche un bel panorama. “Area del gusto, della tradizione e della solidarietà”, l’hanno chiamata. C’è gente che gira, altri che si ritrovano e parlano, altri che mangiano. Molti sono del posto. Mi fermo in un ristorante a caso. È l’una in punto. Eccola qui, l’Amatriciana della mia vita. Ed è davvero un’altra cosa rispetto a ogni altra che ho mangiato finora. Il gestore prova a convincermi che non è niente di complicato, e mi spiega perché. In un attimo, mi rivela la ricetta. Ma nemmeno lo sto ad ascoltare, tanto so già che un’amatriciana così non la mangerò mai più, se non quando tornerò la prossima volta, chissà quando.

Area del gusto
L'”Area del gusto, della tradizione e della solidarietà”, che ospita i ristoranti della città (A. Parlangeli, 2021).

Dopo anni, C’è Ancora un enorme dispiegamento di forze dell’ordine… A che serve?

Intanto la conversazione scivola su altro, e le tante domande accumulate cercano una risposta… Come si sta in quelle case? “Danno molti problemi. Spesso si allagano con le piogge, con il gelo si rompono le tubature e i serbatoi d’acqua”. Eppure a vederle sembrano belle. “Sì, ma sono costate 4 mila euro a metro quadro e sono provvisorie. Vediamo molti sprechi, e questo non ci piace”. Queste strutture in cui siete però sono belle davvero, si sta bene. “Queste sì. Le ha costruite l’architetto Stefano Boeri, che ha seguito i lavori con attenzione. C’è anche una scuola realizzata dalla Ferrari e dedicata a Sergio Marchionne. Quello che hanno fatto i privati funziona. Quello che ha fatto lo Stato no”. C’è molta polizia in giro, a che serve? “All’inizio era utile, per evitare lo sciacallaggio”. Ora sarebbe forse meglio concentrarsi sulla ricostruzione, ma a questo non sembra credere nessuno.

Campanile
Un campanile ad Amatrice (A. Parlangeli, 2021).

Sono già le tre, ed è ora di ripartire. Il gestore mi ringrazia con affetto. Se fosse per me, questa sera stessa tornerei nello stesso posto a cena. Ma devo rimettermi in marcia sotto il sole rovente, e ripercorrere tutto il percorso in senso inverso. Fino a quel punto in cui non c’erano né carabinieri, né centri commerciali, né altro. Ma solo un cartello: “Benvenuti nel dimenticatoio d’Italia”.

 

Andrea Parlangeli
Andrea Parlangeli
Andrea Parlangeli è fisico (PhD) e giornalista, caporedattore del mensile Focus. Appassionato di scienza, tecnologia e innovazione, nel 2019 ha conseguito un Executive MBA presso il MIP/Politecnico di Milano. Ha scritto diversi libri, tra cui Uno spirito puro. Ennio De Giorgi, genio della matematica (Milella 2015, Springer 2019) e Viaggio all’interno di un buco nero (StreetLib, 2019). È stato curatore di La nascita imperfetta delle cose (Rizzoli 2016) di Guido Tonelli, sulla scoperta del Bosone di Higgs; La musica nascosta dell’universo (Einaudi 2018) di Adalberto Giazotto, sulla scoperta delle onde gravitazionali ; Benvenuti nell'Antropocene (Mondadori, 2005) del premio Nobel Paul Crutzen, padre del termine "antropocene" .

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