Categoria Attività sportiva
Nel 2021: Perseverance
Diecimila anni dopo…
Il pianeta Marte continua a essere protagonista della nostra guida turistica per viaggiatori del cosmo, Il trilione. Lo scenario dei geyser che annunciano l’arrivo della primavera nella calotta polare meridionale, rimasta per mesi e mesi prigioniera della lunga, gelida e buia stagione invernale, va certamente consigliato a chi è portato alla contemplazione e alla riflessione, che rimandiamo alla precedente puntata di questa rubrica. Se invece siete a caccia di emozioni forti, provate uno tra gli sport estremi più popolari del Sistema Solare: il “Tango Delta” su Marte!
Giù dall’orbita
Dietro questo nome curioso (spiegheremo dopo che cosa significa) si cela una sfida davvero audace: arrivare sulla superficie marziana dopo un lungo volo di caduta, ma non saltando giù dalle rupi scoscese e dalle alte cime che caratterizzano il pianeta rosso, bensì addirittura dallo spazio… Come funziona?
Prenotate per tempo il biglietto (in alta stagione, la lista d’attesa può essere molto lunga) e quando arriva il vostro turno prendete la navetta per il trampolino spaziale a circa 10.000 km dalla superficie di Marte, quindi ben dentro la sfera di influenza gravitazionale del pianeta. Indossata con cura la tuta spaziale in dotazione, prendete posto nella capsula e allacciate le cinture mentre comincia il conto alla rovescia. Tre, due, uno, partenza! Improvvisamente vi trovate scagliati verso Marte a quasi 20.000 km/h di velocità. Se sentite appena appena un senso di vuoto nella pancia, invece di essere stati spremuti come limoni di Alfa Centauri, ringraziate che all’interno dell’abitacolo, dove vi trovate, l’impressionante accelerazione sia assorbita da più recenti ed efficienti smorzatori inerziali.
A quella velocità, avete tempo per godervi la vista unica del disco rossastro del pianeta che si fa sempre più imponente, scorrendo da una parte all’altra del grande finestrone panoramico che va dai vostri piedi alla testa. Il lancio ha infatti impresso alla capsula anche una lieve rotazione di un paio di giri al minuto che, nei più sensibili, può far venire un po’ di mal di spazio; ma questa, l’abbiamo già detto, non è un’esperienza per stomaci delicati. A circa 1.500 km dalla superficie, percepirete una piccola vibrazione scuotere l’abitacolo. È dovuto allo sganciamento della capsula dal modulo di navigazione, che vi ha protetto durante il tragitto. Sarà recuperato e utilizzato per un prossimo lancio: per Il Trilione prendiamo in considerazione solo attività cosmosostenibili.
Sette minuti di terrore
In qualche decina di secondi, prima l’accensione di due razzi laterali blocca la rotazione e frena leggermente il vostro avanzare, poi l’espulsione di due zavorre da 70 kg l’una orienta la capsula in modo che l’ingresso nell’atmosfera marziana avvenga secondo i parametri desiderati. Nel giro di pochi minuti passate da 1.200 a 120 km dalla superficie, ma ancora viaggiate a 19.000 km/h. Adesso però incontrate l’atmosfera di Marte. Pur essendo molto più sottile di quella terrestre, è comunque un ostacolo.
State per affrontare quelli che i pionieri dell’esplorazione spaziale, millenni fa, chiamavano “i sette minuti di terrore”. Questo è il tempo che ci vuole per compiere le operazioni necessarie a giungere integri sulla superficie. L’attrito con le molecole dell’atmosfera rallenta il vostro moto, ma soprattutto riscalda l’esterno della capsula di un paio di migliaia di gradi. Il calore è assorbito dallo scudo termico, dentro per voi continuerà a far fresco. Però ballerete un po’, perché l’impatto con strati atmosferici sempre più densi sposta la capsula di qua e di là. Il sistema di guida automatica vi riporta sulla traiettoria ottimale, compensando le deviazioni casuali grazie a brevi accensioni dei razzi.
Tre minuti dopo, anche senza guardare l’astrocruscotto, vi rendete conto che la velocità è molto diminuita. Infatti ora andate a 4.000 km/h, un quinto di prima, e siete appena a 16 km sopra la vostra meta. Puff! Ulteriori sei zavorre abbandonano la capsula, contribuendo a mantenere la rotta, in particolare l’angolo con cui vi avvicinate al suolo. Paff! Si apre il paracadute, molto grande – una ventina di metri di diametro – per sfruttare al meglio l’effetto frenante della rarefatta atmosfera marziana. Stonc! Lo scudo termico si stacca e precipita verso il suolo (non preoccupatevi, sarà recuperato e riciclato). Bzzz! Il sistema automatico analizza il terreno sotto di voi e verifica che non siate diretti verso un crepaccio o una cima aguzza, selezionando l’area di arrivo più sicura.
Con la gru
Siete a 3 km di quota e state andando a 300 km/h. Molto meno di prima, ma sempre tanto. Anche il paracadute si stacca… e vola via! Non preoccupatevi, ormai non serve più, perché possono entrare in funzione i retrorazzi. L’ultima, decisiva frenata è affidata al loro getto, rivolto verso il terreno. In pochi secondi siete a una ventina di metri dalla superficie, ma vedete assai poco a causa delle nubi di sabbia sollevate dai gas combusti che escono dagli ugelli. Attenzione però che non è la capsula ad arrivare al suolo: una botola si apre sotto i vostri piedi e la poltrona sulla quale siete seduti viene calata con dei cavi. È la famosa gru marziana volante. Quando siete sulla superficie, le prese alla fine dei cavi vi lasciano e la capsula si allontana con i razzi, per non cadervi addosso (ci mancherebbe, dopo tutta questa avventura). Attraverso l’astrocomunicatore personale, confermate che è andato tutto bene pronunciando le parole “Tango – Delta – Nominal”, un’espressione arcaica per indicare il touch-down, cioè che avete toccato il terreno marziano.
Ogni operazione si svolge in automatico. Ma se volete, nella fase finale, dopo il distacco del paracadute, potete controllare manualmente i razzi e la gru marziana. Non è facile nelle condizioni di visibilità pressoché nulla per il gran polverone che alzerete. Comunque non c’è da preoccuparsi, perché la capsula è attrezzata con i più avanzati sistemi di sicurezza a intelligenza artificiale, pronti a entrare in azione in caso di bisogno, e voi siete ben protetti dal campo di energia della vostra speciale tuta spaziale. Al massimo sentirete una bella botta con la poltrona invece di compiere una discesa dolce, ma non c’è rischio di sfracellarsi o bruciarsi prendendo un razzo con il casco.
Le origini di questa sport estremo si perdono nella notte dei tempi. Secondo alcuni storici del Sistema solare, si ispirerebbe alle manovre inventate agli albori dell’esplorazione spaziale da parte dei nostri antenati terrestri per far atterrare su Marte delle sonde robotizzate e semoventi, chiamate “rover”. Altri accademici contestano questa tesi. Appare infatti assai inverosimile che avessero deciso di mandare sonde dalla Terra a Marte inventando un sistema così complicato e dalle scarse probabilità di successo, con le primitive tecnologie di millenni or sono…