Prima del Big Bang

Un nuovo libro del direttore di Fisica teorica del Cern di Ginevra ci trascina in un viaggio fin dentro l'origine del nostro universo, il Big Bang.

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Prima del Big Bang

Un nuovo libro del direttore di Fisica teorica del Cern di Ginevra ci trascina in un viaggio fin dentro l'origine del nostro universo, il Big Bang.

Gli scienziati, si sa, sono spesso dei gran burloni. Cito qui un episodio che trovo delizioso, tratto dall’atteso libro di Gian Francesco Giudice, direttore del dipartimento di fisica teorica al CERN. Il libro si chiama “Prima del Big Bang” (Rizzoli) e nelle seguenti righe si parla del fisico sovietico (oggi sarebbe ucraino) naturalizzato statunitense George Gamow (1904-68), uno dei padri della teoria del Big Bang “caldo”, cioè più o meno la versione attuale.

“Nel 1948 [Gamow] completò un articolo sugli studi fatti in collaborazione con il suo studente Ralph Alpher. Gamow era uno che non riusciva mai a resistere alla tentazione di fare uno scherzo. In questa occasione firmò l’articolo con i nomi Alpher Bethe Gamow, aggiungendo tra gli autori, senza nemmeno avvertirlo, quell’Hans Bethe che aveva sviluppato i primi calcoli sulla fusione nucleare nelle stelle e che era un suo caro amico. L’aveva fatto solo per il piacere di formare un’assonanza con le prime tre lettere dell’alfabeto greco. L’articolo fu spedito alla rivista e il caso volle che finisse proprio sulla scrivania di Bethe, nella sua veste di editore (…) Fu pubblicato il primo aprile.”

L’episodio è certamente di interesse per lo stimato collega Vito Tartamella, autore del libro “Il pollo di Marconi e altri 110 scherzi scientifici” (Dedalo). Ma lo cito qui soprattutto per testimoniare la passione, la brillantezza e la piacevolezza di lettura con cui Gian Giudice trascina per mano il lettore alla scoperta di uno dei capitoli più profondi e complessi della scienza contemporanea, la #cosmologia moderna.

Ho parlato di un libro “atteso” non a caso. Non perché si sapesse che Gian Giudice stesse per pubblicare un libro sull’argomento. E nemmeno perché non ne siano stati pubblicati altri: la cosmologia è uno degli argomenti preferiti dagli scienziati autori di best seller, perché affronta la questione chiave di ogni esistenza umana, e cioè la domanda “Da dove veniamo?”. Dunque, il libro era atteso, più che altro, da quelli come me che sono consapevoli della competenza e della brillantezza di Gian Giudice: era tempo che scrivesse un libro su questo argomento.

E il libro non ha deluso.

Che cosa mi è piaciuto

– L’ho trovato una delle più semplici e riuscite esposizioni della teoria del #BigBang, dunque molto chiaro ed efficace dal punto di vista divulgativo.
– È costruito bene ed è spiegata molto bene anche l’evoluzione della teoria, e le sue difficoltà nell’affermarsi nella comunità scientifica.
– Come dimostra l’episodio di Gamow appena citato, sono raccontate con grande sensibilità e passione le storie dei fisici che hanno contribuito alla nascita e all’affermazione della teoria.
– È molto chiara la differenza tra ciò che si sa e ciò che si ipotizza. Tra l’altro l’autore offre un quadro neutrale e bilanciato (non il punto di vista, pure legittimo, di chi per esempio sostiene una particolare teoria).
– Nelle sue pagine più ispirate, questo libro è soprattutto un inno alla #scienza e al metodo scientifico. Gian Giudice riesce a essere appassionato, coinvolgente e convincente in un ambito in cui invece gran parte degli autori risulta noioso e saccente.
– Il momento che mi ha emozionato di più è quello in cui, alla fine del libro, una giovane indiana recita un brano delle Upanishad.

Che cosa non mi è piaciuto

– Non c’è niente di importante che non mi sia piaciuto.

Qualche dettaglio che non mi ha convinto

– La scelta di usare il termine “sostanza vacua” e non il più diffuso “falso vuoto”. Capisco che c’è una ragione per farlo, ma 1) il neologismo non mi convince comunque e 2) mi sarei aspettato un riferimento al falso vuoto e una spiegazione della scelta.
– Non ho capito perché, dal nostro punto di vista di osservatori al suo interno, l’universo debba essere infinito.
– Non mi convince la scala delle complessità illustrata in una delle figure, che mostra come il livello di complessità aumenti se si passa dal microscopico al microscopico. In realtà, la mia impressione è che la complessità non diminuisca affatto su scala microscopica (come forse si riteneva un tempo). Si pensi ad esempio al fatto che non siamo in grado di calcolare esattamente nemmeno che cosa avviene all’interno di un protone. Oppure si pensi alla straordinaria complessità del meccanismo di Higgs, che è stato identificato anche per le sue analogie con le proprietà emergenti di alcuni sistemi complessi come i superconduttori. Dunque, a me sembra che la complessità del mondo sia sempre fondamentalmente la stessa, e che si manifesti in modalità diverse alle diverse scale. Questo fatto è per me causa di grande stupore.
– Non mi ha convinto molto la sezione in cui sono riassunti alcuni miti della creazione di diverse culture. Capisco la motivazione narrativa, che comunque è ben spiegata, ma questo capitolo non mi sembra ben integrato con il resto.
– Anche se l’epilogo è costruito straordinariamente bene, mi ha un po’ deluso la conclusione.

Per il resto non posso che consigliarne la lettura, soprattutto ai giovani che abbiano voglia di capire. E di andare oltre, come suggerisce l’autore.

Andrea Parlangeli
Andrea Parlangeli
Andrea Parlangeli è fisico (PhD) e giornalista, caporedattore del mensile Focus. Appassionato di scienza, tecnologia e innovazione, nel 2019 ha conseguito un Executive MBA presso il MIP/Politecnico di Milano. Ha scritto diversi libri, tra cui Uno spirito puro. Ennio De Giorgi, genio della matematica (Milella 2015, Springer 2019) e Viaggio all’interno di un buco nero (StreetLib, 2019). È stato curatore di La nascita imperfetta delle cose (Rizzoli 2016) di Guido Tonelli, sulla scoperta del Bosone di Higgs; La musica nascosta dell’universo (Einaudi 2018) di Adalberto Giazotto, sulla scoperta delle onde gravitazionali ; Benvenuti nell'Antropocene (Mondadori, 2005) del premio Nobel Paul Crutzen, padre del termine "antropocene" .

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