L’esperienza della luce

Siamo stati al Castello di Rivoli per la mostra "Olafur Eliasson: Orizzonti tremanti" e ne abbiamo parlato con la curatrice, che ce ne ha svelato i segreti.

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L’esperienza della luce

Siamo stati al Castello di Rivoli per la mostra "Olafur Eliasson: Orizzonti tremanti" e ne abbiamo parlato con la curatrice, che ce ne ha svelato i segreti.

Sulla soglia d’ingresso, al terzo piano della Manica Lunga del Castello di Rivoli, c’è una scritta: You are about to start a journey, “State per cominciare un viaggio”. Firmato Olafur Eliasson, l’artista islandese-danese qui in mostra fino al prossimo 26 marzo. «Questa frase è un saluto che l’artista fa a chi sta per entrare nello spazio espositivo, che è molto al buio», spiega la curatrice Marcella Beccaria. E in effetti, appena chiusa la porta alle proprie spalle, ci si trova immersi in un’oscurità in cui all’inizio non è facile orientarsi e ci si muove insicuri, nel costante timore di urtare qualcosa. Ma la prima opera che si incontra, Navigation star for utopia, è quasi un’ancora di salvezza: forse una bussola, forse una rosa dei venti, forse un astrolabio che proietta complessi giochi di luce sulle pareti.

L’opera “Navigation star for utopia” in acciaio, legno, vetro colorato, ottone, vernice e luci Led apre la mostra “Olafur Eliasson: Orizzonti tremanti” al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
(Photo: Agostino Osio Courtesy l’artista ; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles © 2022 Olafur Eliasson).

È il punto di partenza di un percorso che presenta una sequenza di sei “calidorama”, neologismo inventato dall’artista per indicare le sue opere, un po’ caleidoscopio, un po’ panorama. Sono installazioni basate su gruppi di specchi, sui quali vengono proiettati fasci luminosi, alterati o scomposti nelle varie componenti cromatiche attraverso il passaggio attraverso lenti o flussi d’acqua. Il risultato sono linee tremolanti o macchie di colore che si muovono e si moltiplicano attraverso gli specchi, ampliando l’orizzonte in cui si trova immerso l’osservatore.

“Stando all’interno di questi caleidorama, ti potresti sentire come di fronte al tempo mentre si svolge. È un’opportunità per riconsiderare il tuo senso della proporzione e del tempo, come quando si vedono le immagini del telescopio per lo spazio profondo che provengono dai limiti della nostra immaginazione” (Olafur Eliasson)

 

In fondo alla sala, quasi a definire lo spazio in cui ci troviamo in relazione al più ampio spazio cosmico, stanno due tronchi o monconi di rami. Uno poggia sul vetro della finestra, orientato lungo l’asse della Manica Lunga, proiettato verso l’esterno, verso il cielo. L’altro è appeso al soffitto, e ha una calamita fissata al suo interno che lo ancora alla direzione nord-sud. L’opera si chiama Your Non-human friend and navigator, ed è costituita da due driftwood, pezzi di legno modellato dal mare che l’artista ha raccolto sulle coste islandesi.

Olafur Eliasson, “Your living kaleidorama” (Il tuo caleidorama vivente. Photo: Agostino Osio Courtesy l’artista; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles © 2022 Olafur Eliasson).

L’intervista

Mentre torno indietro verso l’uscita, chiedendomi che cosa ho appena visto, incontro un’assistente che mi suggerisce: “Per l’artista questa mostra è un viaggio”. Già, un viaggio in uno spazio interiore in cui perdersi tra giochi di luce di cui si è protagonisti per poi riemergere e orientarsi in un ambiente cosmico. Per capire meglio come questa magia possa avvenire, e come effettivamente l’artista e il museo abbia pensato l’installazione, abbiamo incontrato la curatrice Marcella Beccaria.

Qual è il senso di questa mostra? È veramente un’esperienza che deve essere pensata come un viaggio?

È utile fare una premessa. Il lavoro di Olafur Eliasson si basa molto sull’interpretazione personale e soggettiva del visitatore. Ci sono artisti che vogliono controllare in maniera profonda il contenuto delle loro opere e il modo in cui vengono percepite; lo fanno in modi diversi, talvolta a partire dal titolo, spesso cercando di veicolare contenuti molto specifici e vincolanti. Olafur Eliasson non appartiene a questa categoria. È un artista che non intende dare un significato chiuso alle proprie opere. Anzi, per lui l’opera d’arte è una macchina che attiva i meccanismi della percezione ed è messa in funzionamento nel momento in cui c’è una visitatrice o un visitatore. Quindi l’opera in sé, da sola, non significa nulla. Per l’artista è fondamentale l’apporto delle persone, ciascuna delle quali ne ha una sua particolare esperienza. La scritta all’ingresso You are about to start a journey è un saluto rivolto a chi sta per entrare, per allertarlo del fatto che sta per immergersi in un ambiente buio, in cui è consigliabile lasciare che i propri occhi si abituino con lentezza. Siamo purtroppo ormai tutti oberati, ossessionati dalla gestione del tempo, e anche laddove finalmente visitiamo di persona i musei tendiamo qualche volta a essere condizionati dal desiderio di voler immediatamente vedere qualcosa. Per vedere qualcosa in questa mostra è consigliabile attendere che i nostri occhi si adattino, che le pupille si dilatino e ci consentano di leggere l’ambiente.

Ritornando alla metafora del viaggio, è vero che ci sono alcuni riferimenti riscontrabili nella mostra. Per esempio, il percorso si apre con l’opera Navigation star for utopia, che ha una forma geometrica estremamente complessa ma riconducibile alla rosa dei venti. E alla fine della Manica Lunga c’è un’altra opera nella quale è inserito un magnete che la orienta verso nord. Quindi sì, la metafora del viaggio è possibile. Però ci tengo a dire che Olafur Eliasson non è mai troppo letterale, quindi non è necessariamente da interpretarsi così.

Your memory of the kaleidorama (Il tuo ricordo del caleidorama) di Olafur Eliasson (Photo: Agostino Osio Courtesy l’artista; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles © 2022 Olafur Eliasson).

Lei ha parlato di un aspetto scientifico e di uno spirituale. Ma i due sono veramente separati tra loro? Si possono distinguere?

Dipende. Alcuni contenuti delle opere di Eliasson si riallacciano alla storia della scienza, a una lunghissima genealogia che va dai primi esperimenti di Newton sulle proprietà della luce ai principi dell’ottica. Sicuramente qualche scienziato si può divertire enormemente nel ritrovare le proprietà della diffrazione, perché le opere tecnicamente funzionano facendo sì che i raggi di luce colpiscano alcuni bacini d’acqua, che a loro volta per diffrazione restituiscono immagini sugli schermi dei caleidorami. L’immagine che si vede è sempre diversa, proprio perché la rifrazione della luce dipende dal modo esatto in cui l’acqua è più o meno mossa.

L’accesso allo spazio però non è solo visivo, ci si entra con tutto il corpo. Queste macchine che Olafur ha creato funzionano nel momento in cui ciascuno dei visitatori entra nell’opera. Qualcuno resta affascinato dal punto di vista scientifico, qualcuno vi ritrova un altissimo significato spirituale. Prima ancora dell’inaugurazione abbiamo fatto un test; alcune persone mi hanno detto che stavano per scoppiare a piangere, perché le emozioni che provavano erano molto intense e molto spirituali.

Your power kaleidorama (Il tuo caleidorama potente) di Olafur Eliasson (Photo: Agostino Osio Courtesy l’artista ; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles © 2022 Olafur Eliasson).

Questa mostra, più che una collezione di opere, si può vedere come un’unica opera pensata per lo spazio specifico in cui si trova. È stata concepita così?

Sì, esattamente. Siccome lo spazio della Manica Lunga è molto connotato, molto specifico, tecnicamente anche per noi addetti ai lavori è uno spazio difficile che comporta sempre superare alcune sfide, quello che fin da subito avevo chiesto a Olafur quando abbiamo cominciato a parlare della mostra è stato di tenerne conto, e lui è sempre stato ampiamente d’accordo. Quindi sì, in questo spazio ci sono opere specifiche, ma è pensato come un unico insieme. Inoltre le opere sono state pensate per svolgersi ed essere vissute nel tempo. Se poi un visitatore vuole percorrere la Manica Lunga a ritroso o fermarsi di più in un punto piuttosto che in un altro, questo è chiaramente una scelta individuale. Però le opere sono state pensate per questo spazio e sono state allestite seguendo una determinata sequenza.

Your non-human friend and navigator (Il tuo amico non umano e il navigatore) di Olafur Eliasson (Photo: Agostino Osio Courtesy l’artista neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles © 2022 Olafur Eliasson).

E in che modo è stata costruita la sequenza delle installazioni?

In modo da presentare tipologie visive, fisiche e percettive differenti. Intenzionalmente abbiamo messo all’inizio del percorso l’opera che ha il macchinario più complesso e restituisce l’immagine più semplice, perché volevamo mettere in evidenza l’esperienza visiva, che per molte persone è la più seducente. Volevamo anche che si vedesse subito che c’è un apparato che crea la visione.

Poi le opere succedono nello spazio. Il primo caleidorama che si incontra è quello con l’apparato tecnico più articolato ma anche quello che restituisce l’immagine di una linea se vogliamo più semplificata. L’opera successiva al contrario ha un apparato tecnico molto meno ingombrante e restituisce un’immagine estremamente composita, molto articolata. Seguono ulteriori variazioni su queste due possibili alternanze tra meccanismi complessi e tipologie di immagini restituite. Perché poi ogni opera ha una sua natura: cambiano le forme delle vasche, cambiano le tipologie di proiettori, cambiano gli angoli con i quali gli specchi che compongono le strutture si incontrano.

Al di là degli aspetti tecnici, ci sono altre idee scientifiche che caratterizzano queste opere?

Ci sono molti aspetti che riguardano le neuroscienze. Olafur Eliasson è molto interessato a questo, in particolare agli studi di Francisco Varela degli anni ’70, che riguardano proprio il modo in cui la fisicità delle persone implica una conoscenza e una produzione di spazio molto specifica, ed è questo il motivo per cui, come dicevo prima, la presenza dei visitatori è parte integrante del contenuto.

 

Link e approfondimenti

Andrea Parlangeli
Andrea Parlangeli
Andrea Parlangeli è fisico (PhD) e giornalista, caporedattore del mensile Focus. Appassionato di scienza, tecnologia e innovazione, nel 2019 ha conseguito un Executive MBA presso il MIP/Politecnico di Milano. Ha scritto diversi libri, tra cui Uno spirito puro. Ennio De Giorgi, genio della matematica (Milella 2015, Springer 2019) e Viaggio all’interno di un buco nero (StreetLib, 2019). È stato curatore di La nascita imperfetta delle cose (Rizzoli 2016) di Guido Tonelli, sulla scoperta del Bosone di Higgs; La musica nascosta dell’universo (Einaudi 2018) di Adalberto Giazotto, sulla scoperta delle onde gravitazionali ; Benvenuti nell'Antropocene (Mondadori, 2005) del premio Nobel Paul Crutzen, padre del termine "antropocene" .

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