La scienza delle reti 5: dimmi con chi vai…

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La scienza delle reti 5: dimmi con chi vai…

Sappiamo che di alcune reti – come quella delle interazioni fisiche tra i cittadini di un Paese, importante per studiare la diffusione di epidemie – non avremo mai una visione completa; ma possiamo cercare di ricostruirne le caratteristiche fondamentali per fare alcune previsioni. Tra le caratteristiche da considerare ci sono sicuramente la densità (cioè quanti archi sono presenti) e la distribuzione dei gradi (cioè quanto questi archi siano concentrati intorno a una parte dei nodi). È legittimo domandarsi se ci sia altro che è utile sapere di una rete.

Amici degli amici degli amici

La risposta ce la dà già la funzione “Persone che potresti conoscere” di Facebook, che in pratica cerca di indovinare, e sottoporci, le nostre amicizie non ancora “registrate” nella piattaforma. Per fare ciò, utilizza diverse fonti, ma secondo la documentazione ufficiale avere amici in comune “è il motivo più comune per cui vengono proposti suggerimenti”. Evidentemente Facebook sta sfruttando una caratteristica della rete sociale dell’amicizia che non riguarda semplicemente il numero medio di amici, o il fatto che alcuni hanno più amici di altri, ma il fatto che gli amici degli amici tendono a essere amici (più di persone prese a caso).

Raggruppamenti

È tipico di molte reti sociali che due nodi collegati a uno stesso nodo siano collegati anche tra loro, e questa caratteristica è detta clustering. Quindi una rete con clustering massimo è tale che i miei amici sono sempre amici tra di loro, e gli amici di un mio amico (me compreso) pure… in altre parole, è una rete a “isole” all’interno delle quali tutti sono amici, e all’esterno delle quali non esistono archi, come nelle due reti a sinistra nella figura sottostante. Invece una rete con clustering nullo è una in cui i miei amici non sono mai amici tra di loro, come nella rete circolare a destra.

Reti con clustering massimo, a sinistra, e nullo, a destra.

Interessi in comune

Come mai i miei amici sono spesso amici tra di loro? La risposta ovvia è che magari li ho fatti incontrare io. Ma ci può essere anche un altro motivo: ci siamo incontrati e trovati simpatici perché abbiamo interessi o gusti in comune. Per esempio, potrei stringere relazioni con persone che frequentano la mia stessa scuola, lavorano per la mia stessa azienda o frequentano concerti che piacciono a me – persone che facilmente stringono relazioni anche tra loro. Questo fenomeno si chiama omofilia (dal greco “amore per il simile”) ed è un altro modo in cui Facebook prova a suggerirmi persone che potrei conoscere: appunto, cercandole tra chi nella piattaforma condivide i miei interessi. Così come per il clustering, esiste un modo per misurare anche l’omofilia in modo preciso: per esempio, se in un gruppo di utenti Facebook conosciamo di ognuno il cantante preferito, possiamo misurare quanto le persone che hanno lo stesso cantante preferito tendano a essere amiche tra loro.

A gruppi

È frequente che le reti sociali abbiano un clustering alto e dimostrino un alto grado di omofilia, e questo ha a che fare, come accennato, con il modo in cui si formano queste reti. Magari non hanno proprio la struttura superconnessa delle due “isole” nella figura sopra, ma tendono comunque ad avere delle comunità: gruppi di nodi più connessi tra loro che con il resto della rete. Questi gruppi sono detti cluster e gli studiosi delle reti hanno sviluppato molti metodi per individuarli, in reti di ogni tipo. Nella figura sotto, vediamo una rete i cui nodi sono account Twitter dei parlamentari europei, e un arco indica che un parlamentare ha fatto un retweet di un tweet di un altro parlamentare. Ogni nodo è stato colorato in modo diverso a seconda del gruppo parlamentare: anche se tutti i nodi raffigurati sono, in un modo o nell’altro, indirettamente collegati tra loro, è chiaro che i collegamenti sono particolarmente forti all’interno dei gruppi, dimostrando cioè una struttura a cluster.

Struttura dei retweet tra parlamentari europei  (Fonte https://appliednetsci.springeropen.com/articles/10.1007/s41109-016-0001-4/figures/2 – licenza CC BY 4.0).

La logica del lockdown

I cluster non servono solo a rendere più colorate le rappresentazioni delle reti: hanno implicazioni importanti per il contagio in caso di malattie infettive. Consideriamo una popolazione che abbia una struttura a isole: piccoli gruppi di persone che si frequentano molto tra loro, ma nessun contatto tra gruppi diversi. Se anche una malattia dovesse diffondersi in un gruppo, non riuscirebbe a propagarsi agli altri, quindi alla fine raggiungerebbe poche persone. E questa in fondo è la logica dei lockdown: è chiaro che non ferma il contagio per esempio tra conviventi – anzi, semmai lo facilita – ma si impedisce la diffusione da una famiglia all’altra (non a caso in Italia il DPCM del 26 aprile 2020, all’uscita dalla fase di lockdown più duro, stabiliva che si potessero frequentare anche congiunti non conviventi – con l’idea appunto che ogni famiglia rappresentasse un piccolo cluster).

Collegamenti pericolosi

Tanto più la rete di contatto di una popolazione ha una struttura a cluster, tanto più diventano importanti quei pochi archi che collegano tra di loro i cluster. E questo è una ragione per cui durante tutte le varie ondate della pandemia di COVID-19 ci sono stati blocchi di vario tipo su base geografica (divieto di transito inizialmente tra comuni, poi tra regioni e altri Paesi, oltre alla proroga dell’obbligo di green pass alla frontiera): siccome comuni, regioni e Paesi tendono a essere cluster – che in quanto tali tendono a mantenere il contagio all’interno, e quindi limitato – gli archi che rischiano di fare danni maggiori sono quelli tra cluster, come quelli che si creano quando qualcuno si sposta da una regione a un’altra.

Via aerea

Gli strumenti più avanzati di previsione del contagio epidemiologico si basano su modelli che, pur non scendendo al livello del singolo individuo o della singola famiglia, riproducono le principali caratteristiche di una rete, permettendo di simulare la diffusione di un’epidemia. E questo significa sempre più basarsi anche su dati come quelli sugli spostamenti per via aerea. Infatti gli aerei, collegando in poche ore comunità a migliaia di chilometri di distanza, possono rappresentare un vettore potentissimo per il contagio, qualcosa che i virus di un paio di secoli fa non avevano a disposizione e che ha cambiato i connotati delle pandemie, in particolare per quel che riguarda la velocità di diffusione.

Imparare a prevenire

Il nostro percorso nella teoria delle reti, che si era aperto parlando di reti di trasporto, si chiude parlando di reti di trasporto. Di fronte a un mondo più connesso, in cui qualsiasi malattia infettiva può viaggiare velocemente, un’arma fondamentale è la prevenzione, e in particolare lo studio delle connessioni su cui si spostano, proprio come facciamo noi esseri umani, le nostre malattie.

Link e approfondimenti

• Il libro La responsabilità di rete (il Mulino) di Pietro Battiston, e il suo sito.

battiston

Pietro Battiston
Pietro Battistonhttps://pietrobattiston.it
Pietro Battiston è un ricercatore in economia presso l'Università di Pisa, con una formazione matematica e una passione per la musica. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Economia Pubblica presso l'Università degli Studi di Milano Bicocca. La sua ricerca verte sulla teoria delle reti, l’economia sperimentale, l’evasione fiscale e la bibliometria, temi su cui ha pubblicato articoli in importanti riviste scientifiche internazionali. Nel 2021 è uscito per il Mulino il suo libro "La responsabilità di rete". Fervente utilizzatore e sostenitore del software libero, contribuisce spesso allo sviluppo di software per il calcolo scientifico; è inoltre ideatore e creatore del sito unicerca.it.

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