L’arte fa bene, e vi spiego perché

Lo hanno chiamato "effetto Michelangelo": secondo uno studio italiano, l’arte potenzia alcune nostre capacità e può avere valore terapeutico. Abbiamo intervistato uno degli autori.

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L’arte fa bene, e vi spiego perché

Lo hanno chiamato "effetto Michelangelo": secondo uno studio italiano, l’arte potenzia alcune nostre capacità e può avere valore terapeutico. Abbiamo intervistato uno degli autori.

Gli scienziati lo hanno chiamato “effetto Michelangelo”: la vista dei grandi capolavori del passato può potenziare le nostre capacità motorie e intellettive, e avere perfino un effetto terapeutico. Ce ne parla Marco Iosa, professore alla Sapienza Università di Roma e responsabile del Laboratorio per lo Studio della Mente e dell’Azione nella Riabilitazione Tecnologica (SmArt Lab) presso l’IRCCS Fondazione Santa Lucia. Marco Iosa è uno degli autori di uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology, che ha messo in luce il fenomeno mostrando – nello specifico – che le opere artistiche aiutano i pazienti con una lesione del sistema nervoso causata da un ictus a eseguire esercizi di neuroriabilitazione in un ambiente virtuale. 

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L’esperimento, con la Creazione di Adamo di Michelangelo. Il disco grigio è comandato dall’operatore (M. Iosa).

Che cos’è l’“effetto Michelangelo”, e perché si chiama così?

Nell’esperimento abbiamo visto che le prestazioni dei pazienti, in presenza di uno stimolo artistico, miglioravano. Per il nome ci siamo fatti ispirare dall’“effetto Mozart”, che è già noto nella musicoterapia e consiste nel fatto che, quando si ascoltano le opere di Mozart o di altri compositori, le performance cognitive migliorano. Quando abbiamo notato un effetto analogo per le arti visive, abbiamo pensato di chiamarlo “effetto Michelangelo”, un po’ perché una delle scene che abbiamo fatto vedere ai nostri pazienti era la Creazione di Adamo dell’artista aretino; un po’ perché da italiani ci piaceva dare il nome di un artista italiano.

In che cosa consisteva l’esperimento, più esattamente?

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Analisi dei percorsi effettutati con il cursore (M. Iosa).

Il nostro studio riguardava pazienti affetti da ictus, che dovevano recuperare le proprie capacità motorie. Con l’aiuto della realtà virtuale, è stato chiesto loro di muovere un cursore su una tela digitale che avevano di fronte, utilizzando la mano del lato del corpo colpito. I movimenti sulla tela avevano lo scopo cancellare un velo bianco sotto il quale si celava un dipinto.

I pazienti erano divisi in due gruppi. Per quelli di un gruppo, sotto il velo bianco si celava un capolavoro come la Creazione di Adamo di Michelangelo, la Venere di Botticelli o i Tre Musicisti di Picasso. Per quelli dell’altro gruppo, sotto lo stesso velo bianco si celava un quadro analogo dal punto di vista cromatico, ma con i colori mischiati tra loro in modo da essere irriconoscibile. Quello che abbiamo visto è che i pazienti del primo gruppo percepivano meno fatica nel compito (anche se la tela era la stessa, così come i movimenti richiesti), commettevano meno errori motori (per esempio uscire dal piano del quadro) ed erano molto più motivati. L’effetto era particolarmente pronunciato proprio per la Creazione di Adamo di Michelangelo.

Chi aveva nell’esperimento aveva a che fare con un’opera d’arte, commetteva meno errori ed era più motivato

Avete osservato anche l’attività cerebrale delle persone coinvolte nell’esperimento?

No, questo non l’abbiamo fatto. Ci sono però alcuni studi che lo hanno fatto in precedenza, in particolare quelli di Vittorio Gallese dell’Università di Parma. Questi studi hanno ampiamente analizzato che cosa succede al nostro cervello quando osserviamo un’opera d’arte, scoprendo che c’è una forte attivazione anche delle aree motorie. È un risultato sorprendente, perché l’osservazione in sé non richiede movimento, e quindi ci si potrebbe aspettare che si attivi solo il sistema visivo. Ma una scena dipinta ha la capacità di stimolare i neuroni specchio che si attivano anche quando si vede un’azione, più quello che in gergo si chiama un ampio arousal cerebrale, cioè un’attivazione anche di altre aree. Di fronte a una scultura, per esempio, si attivano sia l’amigdala (che pare ci fornisca un senso di bellezza soggettiva) sia l’insula (che corrisponderebbe invece a una sorta di bellezza oggettiva). Ci siamo ispirati a questi studi per cercare di renderli utili ai pazienti che a causa di un ictus hanno subito un danno nell’area motoria.

Come pensate di proseguire con la ricerca?

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Un’altra fase dell’esperimento (M. Iosa).

Vogliamo aumentare innanzitutto il numero di pazienti studiati, per avere una statistica più significativa. Poi vogliamo usare anche altre immagini fortemente emotive, per esempio quelle dei familiari dei pazienti, perché questo ci permetterà di distinguere se l’effetto sia dovuto per esempio all’empatia, oppure se riguardi esclusivamente l’arte. D’altra parte, nemmeno l’effetto Mozart è efficace allo stesso modo per tutti. A noi interessa capire, appunto, che cosa è più efficace per ciascuno, in modo da consentire il miglior recupero possibile.

Tornando all’effetto Mozart, sulla sua efficacia ci sono molte discussioni. Serve veramente?

Le performance dei soggetti in generale possono dipendere da molteplici fattori e da come vengono presentati gli stimoli. Quindi ci sono studi che portano in una direzione, e studi che portano in un’altra. Di certo qualcosa c’è, nel senso che sicuramente c’è un effetto sulle prestazioni nel momento in cui ascoltiamo un brano musicale, che può essere di Mozart o di un altro autore. Noi, per esempio, in passato abbiamo fatto uno studio in cui a pazienti con il Parkinson facevamo sentire diversi tipi di musica, dalla classica al rock. E a seconda del tipo di musica e del paziente, le prestazioni cambiavano. Per un paziente poteva andare bene la musica classica, per l’altro era meglio il rock. Alla domanda “La musica ha un effetto?”, la risposta sarebbe stata “Dipende”. Però sicuramente un effetto c’è.

 

Link e approfondimenti

• Il link all’articolo orginale.
• Due servizi televisivi (Tg2 e Tg5) sull’effetto Michelangelo.

 

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