La mia prima aurora

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La mia prima aurora

Quando arriviamo non è che un tenue arco lattiginoso che si tende a nord, poco sopra l’orizzonte delineato dalle montagne. Siamo sulla spiaggia di Vik, alle isole Lofoten, in Norvegia, al di là del Circolo Polare Artico. È febbraio e fa freddo. Ci sono dieci gradi sotto zero; ma la temperatura percepita è ancora più bassa, a causa del vento e dell’umidità. Fino a questo pomeriggio il cielo è stato molto nuvoloso, poi all’improvviso si è schiarito lasciando vedere le stelle dell’emisfero boreale: il Grande e il Piccolo Carro, Cassiopea, Orione. La stella polare è alta sopra di noi. La notte è buia, quasi non ci sono luci artificiali se non su una parete di roccia verso l’entroterra. In spiaggia non c’è nessuno. La luna non si vede, ma il suo bagliore rischiara i monti che cadono a picco sul mare. L’aurora è là, dietro quelle montagne. Timida, delicata. Un arco spesso, tenue, sfrangiato, che a prima vista si potrebbe scambiare per una nube d’alta quota. Ma all’occhio delle fotocamere quell’arco appare verde e luminoso. E allora non ci sono più dubbi. È lei, è l’aurora che da tempo cercavo.

Una spiaggia delle isole Lofoten (A. Parlangeli).

Mi scorrono in testa le immagini di due anni fa, quando in un letto dell’ospedale di Bodø, un centinaio di chilometri più a sud, mi sforzavo invano di vedere le luci del Nord tra le dense nubi sbirciando dietro le vetrate, senza sapere bene nemmeno che cosa cercare. Ero andato lì apposta, con un tour che partiva da Tromsø e passava per le isole Vesteralen. Ma appena arrivato nella cittadina di Svolvaer sono scivolato sul ghiaccio e mi sono rotto un gomito, il destro, perdendo al tempo stesso il controllo parziale della mano. È stata una frattura disastrosa, che lì non erano in grado di trattare, e così da Svolvaer ero finito a Gravdal, da Gravdal con un aeroplanino a Bodø, e da Bodø dopo sette giorni a Pavia, dove dopo un intervento di sette ore e poi anora dopo sette mesi di fisioterapia – nel bel mezzo dei quali è esplosa la prima ondata di Covid-19 – ho cominciato finalmente a sperare di recuperare l’uso dell’articolazione e della mano. Alla fine ce l’ho fatta. Dopo due anni di sforzi sono tornato a una parvenza di normalità; e così rieccomi qua, dove per me tutto era cominciato, a chiudere i conti con l’aurora.

La luna non si vede, ma il suo bagliore rischiara i monti che cadono a picco sul mare

Mentre indugio tra i ricordi, l’arco dell’aurora si è alzato. Si è perfino sdoppiato. È un po’ più intenso, anche se non distinguo bene i colori. Ragiono che forse sono un po’ daltonico, forse è una conseguenza della miopia. Oppure, forse, la luce è troppo tenue, dunque la percepisco in bianco e nero con i bastoncelli e non con i coni che sono sensibili ai colori. Ne parlo con Giulio, la nostra guida. Giulio è un ragazzo italiano che è venuto a vivere qui con la sua famiglia e organizza tour nelle isole. È un esperto di fotografia notturna e un grande appassionato di aurora: quando si accorge – dalle numerose fonti che segue – che sta arrivando, gli brillano gli occhi come un bambino ed entra in uno stato di eccitazione tale che sembra che non ne abbia mai vista una prima.

La spiaggia è deserta, il silenzio avvolge ogni cosa

Guardo il display della sua macchina fotografica, sempre pronta, fissa sul cavalletto. L’inquadratura mostra uno splendido doppio arco verde sulle montagne, il meglio che avrei sperato di vedere prima della partenza. L’immagine sul display è bella, tanto da sembrare finta. La mia esperienza invece è deludente: l’aurora nella realtà non mi appare altrettanto intensa, e soprattutto non è altrettanto colorata. Giulio mi spiega che la macchina fotografica è molto sensibile alle frequenze del verde, e per di più ha un vantaggio rispetto all’occhio umano: la possibilità di variare a piacimento il tempo di esposizione, che in questo caso è di due o tre secondi, consentendo di raccogliere più luce. Fatto sta che ci rimango un po’ male. Lui dice che è una bella aurora, ma certamente non è emozionante come avevo pensato. «Di che intensità è?», gli chiedo. «Sarà un K 2 o 3». L’indice K – scopro – è un parametro usato per misurare l’attività geomagnetica, e dunque l’intensità delle aurore, e varia da 0 a 9. Oggi il valore atteso è 5, più o meno il massimo che si può sperare di vedere a queste latitudini. Per valori maggiori, infatti, l’aurora si sposta verso sud, e quindi per osservala al meglio bisognerebbe trovarsi a latitudini inferiori.

Isole Lofoten (A. Parlangeli).

 

Le aurore boreali sono fenomeni che si verificano a causa del vento solare, che è costituito da particelle elettricamente cariche provenienti dalla nostra stella, soprattutto protoni ed elettroni, cioè i costituenti elementari dell’atomo di idrogeno. Quando raggiunge la Terra, il vento solare viene deflesso dal campo geomagnetico, che indirizza le particelle cariche verso i poli. Il campo geomagnetico è uno scudo che protegge il nostro pianeta dalle radiazioni extraterrestri. Quando il vento solare è più intenso del solito e si verifica una tempesta geomagnetica, però, il flusso di particelle cariche può raggiungere gli strati più alti dell’atmosfera, sopra gli 80 km di quota, generando le aurore. I vari colori – verde, magenta e più raramente rosso o blu – dipendono dal tipo di atomi coinvolti, e dall’energia che si genera nel processo.

L’aurora è là, dietro le montagne

Normalmente le aurore si verificano molto a nord, sopra il 66mo parallelo, cioè il Circolo Polare Artico. Ma quando sono particolarmente intense possono spostarsi più a sud, perché l’anello di particelle che si forma attorno al polo magnetico si intensifica e si allarga. Le previsioni su cui Giulio si basa sono abbastanza affidabili riguardo ai giorni nei quali ci sarà attività magnetica; purtroppo lo sono assai meno nel prevedere l’intensità dell’aurora.

Cerco di avere fiducia e nell’attesa chiedo a Giulio di raccontarmi quel che potrebbe accadere: «Gli archi si sposteranno sempre più a sud, sempre più in alto nel cielo», profetizza. «Comparirà poi un terzo arco; e quando sarà alto sulle nostre teste, da uno dei due lati all’orizzonte si romperà e comparirà un drago». Cioè, intuisco, una linea fortemente ondulata che si muove più rapidamente. «A quel punto l’aurora è ovunque», conclude, con le braccia aperte e lo sguardo rivolto al cielo, come se già la vedesse.

Isole Lofoten (A. Parlangeli).

Forse è il momento di prepararsi, dunque; sento il bisogno di stare un po’ solo. Comincio a incamminarmi verso il centro della spiaggia, allontanandomi da Giulio e dagli altri del gruppo, tutti intenti a scattare foto nell’angolo di spiaggia in cui siamo arrivati. Cammino sulla sabbia gelata, mista alla neve e al ghiaccio, travolto da folate di vento che bruciano la poca pelle esposta e le labbra. Fa freddo, siamo qui da almeno un’ora e non abbiamo mangiato nulla. Ma sono felice. Finalmente posso dire di aver avuto il mio riscatto; l’aurora c’è, ormai è fuor di dubbio, e si sta rinforzando. Tutto va come Giulio aveva previsto. È già comparso il terzo arco; e dal lato interno, quello che dà sull’entroterra, si vede una luce intensa che sembra artificiale. Inizialmente avevo pensato che ci fosse un paesino, lì dietro, ma in realtà mi rendo conto che non è così. Un fiotto di energia sta sorgendo da ovest, dietro una montagna, e sebbene non assomigli ancora in alcun modo a un drago, è bene tenerlo d’occhio, perché da un momento all’altro potrebbe esplodere in quell’orgia di forme e colori che ho sempre sperato di vedere.

“…e quando il terzo arco sarà alto sulle nostre teste, uno dei due lati all’orizzonte si romperà e comparirà un drago”

Non va proprio così. L’aurora è imprevedibile, ha i suoi alti e bassi. Indugia e poi esplode; quindi arretra. Così ora gli archi sono ancora due; ma intanto senza che me ne accorgessi è successo qualcosa. Sulla mia testa il cielo è lattiginoso, come se ci fosse una tenue foschia. D’un tratto mi assale il timore che l’aria umida delle isole, che fino a questo pomeriggio aveva coperto il cielo di nubi, si addensi nuovamente per dar luogo a una foschia che rovinerebbe tutto lo spettacolo. Poi mi rendo conto che, oltre il secondo anello dell’aurora, verso nord, il cielo è ancora più scuro. Penso quindi a come si formano le aurore, a come dallo spazio si vedano come anelli centrati intorno ai poli, e allora un nuovo dubbio mi assale: forse ci sono dentro? Forse quella foschia non sono altro che particelle cariche diffuse nell’alta atmosfera, che aspettano solo il momento giusto per addensarsi ed esplodere in uno spettacolo di luce?

Aurora
Aurora boreale nella spiaggia di Vik, isole Lofoten (G. Cobianchi).

L’attenzione sale, il vento sembra essersi calmato, il silenzio inghiotte ogni cosa. Ed ecco che a sinistra il fiotto che stavo osservando si è intensificato, ne percepisco l’energia che erompe, è luce pura. Mi volto, a destra l’arco si è sfrangiato, ora è un serpente verde tutto contorto che esce dal mare e sfuma verso l’alto con un soffio color magenta, per poi piegare sopra le montagne che abbracciano il golfo. Da lontano, si odono le urla di ammirazione dei miei compagni, intirizziti dopo ore di attesa dietro i loro cavalletti. Immagino Giulio che salta da una parte all’altra alla ricerca della migliore inquadratura per riprendere lo spettacolo con e senza i partecipanti. Ma ora sono io a correre e a gridare, con le braccia aperte ad arraffare il cielo che si sfalda. Da sinistra parte una raffica di luci che drappeggiano repentinamente mentre si spostano verso l’alto. Provo a seguirle con lo sguardo, un altro fiotto nasce dal nulla sopra di me, si allarga, drappeggia. Mi giro da una parte, dall’altra, sempre con la testa in alto… per un attimo perdo l’equilibrio e rischio di cadere, ma subito riprendo a girarmi come un ubriaco, ebbro dello spettacolo che erompe ovunque attorno a me. Adesso l’aurora è dappertutto, proprio come diceva Giulio. Impossibile dire se si sviluppi a nord, a sud o in qualche altro punto cardinale. I drappi si susseguono veloci, i fiotti puntano verso l’alto e poi ricadono verso il basso come fuochi d’artificio. A volte si riaccendono. Seguo con il pensiero il flusso di particelle elettrizzate nell’alta atmosfera, mentre il cielo sembra cascarmi addosso e per qualche istante ho una paura istintiva e irrazionale di rimanerne schiacciato, folgorato come San Paolo sulla via di Damasco. Ma poi tutto ancora una volta si acquieta, e torno pieno di entusiasmo al gruppo che avevo lasciato.

Da sinistra parte una raffica di luci che drappeggiano repentinamente mentre si spostano verso l’alto

“Hai visto?”, “Hai visto?”. Le grida d’incredulità si susseguono; mentre la spiaggia comincia a riempirsi di gente, uscita dalle case per godersi lo spettacolo ormai conclamato. Ci sono locali e turisti. Le luci delle macchine compaiono da dietro le curve e offendono lo sguardo ormai abituato all’oscurità. Chiedo a Giulio un commento su quanto abbiamo visto. Come faceva a sapere quel che sarebbe accaduto? «Di solito le aurore nascono con un arco a nord», risponde. «Per questo, quando accompagno un gruppo che deve vedere l’aurora per la prima volta, vado in posti dove a nord la visuale è libera. Perché prima parte l’arco, poi se l’aurora è abbastanza intensa si alza, si alza, si alza, fino a esplodere. Solitamente va a singhiozzo, quindi magari fa una sfuriata nel cielo, in tutta la volta celeste; poi si calma e dopo cinque minuti può ricominciare». L’entusiasmo cresce, le domande incalzano. Oltre al verde e al magenta possono comparire altri colori? «Ci può essere il rosso, il colore più raro è il blu», dice Giulio. «L’aurora rossa è anche più complicata da fotografare, perché è meno intensa e alcuni sensori non riescono a riprenderla bene. Il colore con cui appare è un bel rosso sanguigno, come il rosso Ferrari ma più luminoso, e spesso compare insieme al magenta». E ci sono altri modi in cui l’aurora si può sviluppare? «Ci sono i pillot, che sono pilastri verticali all’orizzonte e possono essere anch’essi di vari colori: verde, rosso, magenta. Una volta mi è capitato di vedere un’aurora esplodere a nord direttamente con un drago. Solitamente quando è così può fare uno, due o tre draghi, e dura un po’ meno».

“a volte può avere un bel colore rosso sanguigno, come il rosso Ferrari, ma più luminoso”

Giulio non ha ancora finito di parlare che il cielo si anima di nuovo. Ormai la spiaggia è piena di persone, e a ogni nuova ondata di luce si sentono risuonare le esclamazioni della gente. Due drappeggi si susseguono rapidamente, uno dietro l’altro, spostandosi da est a ovest lungo il lato più occidentale di un’arcata alta nel cielo. Sembra che gli angeli stiano suonando l’arpa, sembra quasi di sentirne il suono. Ma questa esplosione dura meno della precedente, e già il nostro gruppo pian piano mette via l’attrezzatura e si predispone a rientrare. È tardi e fa freddo, siamo scossi e già soddisfatti di quanto abbiamo visto. È ora di tornare.

Aurora
L’aurora boreale al culmine della sua attività (G. Cobianchi).

In macchina, uno dei partecipanti passa in rassegna le leggende sull’origine di questi straordinari fenomeni. «Gli inuit», racconta, «pensavano che a generare le aurore fossero le anime danzanti dei bambini morti alla nascita. Alcune popolazioni vi hanno visto spiriti che giocano. Un’altra leggenda vuole che l’aurora sia generata dalla volpe artica, che correndo velocemente nel cielo genererebbe scintille luminose con la sua grande coda che sfiora le montagne». Mi vengono in mente le parole dell’antropologo statunitense Ernest William Hawkes a proposito degli Inuit del Canada: “Il crepitio sibilante che a volte accompagna l’aurora è la voce degli spiriti che cercano di comunicare con i vivi. Bisognerebbe sempre rispondere con voce sussurrata”.

Secondo una leggenda, a generarla è la coda della volpe artica tra le montagne

E qui si apre la questione dei presunti suoni delle aurore. Molti sostengono infatti di aver ascoltato una variegata gamma di suoni provenire dal cielo durante il fenomeno visivo. C’è chi parla di un rullo di tamburo, chi di una bistecca che frigge, chi di sibili, chi di fruscii, chi di un delicatissimo scoppiettare di bolle. Le testimonianze sono tante, ma una spiegazione chiara non c’è. Le aurore boreali, infatti, si sviluppano in una zona in cui l’atmosfera è troppo rarefatta per generare suoni. E se pure tali suoni si potessero sviluppare, ci raggiungerebbero con un ritardo di 5-10 minuti rispetto alla luce (perché il suono è più lento), proprio come succede con i tuoni di fulmini lontani. Diversi scienziati sono perciò convinti che questi suoni non siano reali ma abbiano un’origine psicologica… pare che accada anche con le stelle cadenti, di cui qualcuno sostiene di aver udito il sibilo. Secondo uno scienziato finlandese, l’unico ad aver studiato il fenomeno in atmosfera, i suoni sono reali e sono generati da scariche elettriche indotte dalle aurore, che si verificherebbero in particolari condizioni di inversione termica negli strati d’aria sopra gli ascoltatori. La questione è dibattuta, e resta più che mai aperta.

È bello, e forse anche un po’ consolatorio, scoprire ogni tanto che non tutto ciò che vediamo e ascoltiamo, ciò di cui abbiamo esperienza diretta, possa essere spiegato dalla scienza. D’altra parte gli stessi scienziati ammettono che, in realtà, sono più le cose che non sappiamo di quelle che sappiamo, e a guidarli è un senso di stupore non molto diverso da quello dei bambini.

Aurora
Aurora boreale nella spiaggia di Vik, isole Lofoten (G. Cobianchi).

Arrivati a casa è finalmente il momento della doccia e del relax, poi di andare a dormire. Ma proprio mentre mi appresto a farlo, mi arriva un alert che notifica il possibile arrivo di un’aurora. Avviso Giulio, che però è appena uscito dalla doccia e non ha voglia di rivestirsi. Lo dico agli altri; ma no, anche loro vogliono ormai andare a dormire. D’altra parte è stata una giornata faticosa e domani dobbiamo svegliarci presto, per uscire all’alba. Resto indeciso un attimo anch’io. Poi mi metto qualcosa addosso ed esco. In fondo vado a dare solo uno sguardo. Fa freddo, è quasi intollerabile, e faccio fatica a muovermi nel cortile inondato dalla neve. Ma devo spostarmi almeno di qualche metro dalla casa e dalle sue luci. A un certo punto affondo fin quasi alla cintola. Mi fermo lì e guardo in alto. In cielo c’è un arco teso che la sera prima avrei scambiato forse per una nube alta; ma ora so riconoscerla come un’aurora, proprio sopra di me. All’orizzonte, una luce lontana e il solito dubbio: sarà una città? Giulio si affaccia per avere notizie. «C’è?». «Sì». «E com’è?». «C’è una striscia sopra di noi». «Ci sono i draghi?». «No». Lo vedo che parla con gli altri, ma ha chiuso la porta e non sento quello che si dicono da dietro il vetro.

Un flusso che proviene da sinistra si scontra con un altro proveniente da destra. E prende forma di colomba

Intanto la luce all’orizzonte si è intensificata, ed è anche più verde di quella che abbiamo visto prima. Un bel verde psichedelico, sembra un gioco di neon. Il cielo sembra essersi ulteriormente scurito. Resto un attimo incantato di fronte a quella forza che erompe dall’orizzonte, e mi giro a cercare Giulio ma lo vedo di spalle mentre se ne va. Forse dovrei seguirlo. Fa davvero freddo e non sono vestito adeguatamente. Non sento i piedi, comincio a tremare. Ma quella luce mi cattura, non riesco a staccare lo sguardo. A un tratto un ectoplasma si materializza dal nulla in un angolo di cielo. È verde, brillante, sempre più intenso. Si muove, con la sua danza sembra voler comunicare qualcosa… ed ecco che ne compare un altro poco più in là. Provo a gridare, chiamo Giulio. Non si vede nessuno. Alzo e giro lo sguardo. Ecco, dietro di me già si muoveva un flusso che non avevo notato. Il cielo è ancora in movimento, mi volto a destra, a sinistra… fin quando sopra di me distinguo un flusso che proviene da sinistra e lo vedo scontrarsi con un analogo flusso proveniente da destra. Ed ecco che proprio sopra la mia testa si forma e si fissa per un attimo nel cielo una colomba. Si vede chiaramente, ha le ali aperte puntate in avanti. Sembra abbracciare me e il mondo, sembra un messo divino che manda un segno di riconciliazione e di pace.

«Hai visto una fenice», mi spiega Giulio quando rientro. «È un fenomeno raro». Sembra sorpreso, quasi incredulo. Mi fa un sacco di domande per accertarsene. Poi continua a spiegare: «Quando l’aurora è al culmine della sua attività, con i flussi che convergono verso il centro, in alto nel cielo si possono creare figure come la fenice, l’angelo, la madonnina. La madonnina è la figura più rara: un volto di donna con le mani congiunte, che prega». L’hai mai vista?, gli chiedo. «No», risponde lui. E qual è l’aurora che ti ha emozionato di più? «Quella che abbiamo visto insieme è stata sicuramente una delle più belle. Poi mi ricordo l’anno scorso, a gennaio, una serie di draghi verticali che si sono susseguiti dal tramonto fin quasi all’alba, alle cinque del mattino. È stata molto lunga. Ricordo che ho scattato foto fino alle tre, poi sono rientrato a casa perché l’attività era calata. Ma appena sono tornato è riesplosa, e allora sono rimasto a fotografare fino all’alba».

Saluto Giulio e vado a dormire. Sono stanco. Finalmente mi infilo sotto le coperte, cerco il caldo tra le lenzuola. Penso a quello che potrebbe avvenire in questo momento in cielo, sopra di me, sopra la casa che mi ospita, sopra l’arcipelago delle Lofoten, sopra tutto il Circolo Polare Artico. Immagino i giochi di luci, le forme cangianti, i suoni, i colori. In fondo, ciascuno trova e vede nelle aurore ciò che vuole, proietta nella meraviglia del creato qualcosa di sé. E così c’è chi scopre una figura sacra, chi un angelo, chi una fenice… nella mia mente che sprofonda nell’oscurità resta alta nel cielo una colomba.

Link e approfondimenti

• Il sito di Giulio Cobianchi, fotografo e guida che ha accompagnato il viaggio (le foto delle aurore sono sue).
• Un racconto del nostro viaggio, con le foto di Giulio.
Il sito dello Swedish Institute Space Physics di Kiruna, dove c’è un magnetometro che segnala il passaggio di un’aurora.
Un sito del Noaa sulla previsione delle aurore a breve termine.

Andrea Parlangeli
Andrea Parlangeli
Andrea Parlangeli è fisico (PhD) e giornalista, caporedattore del mensile Focus. Appassionato di scienza, tecnologia e innovazione, nel 2019 ha conseguito un Executive MBA presso il MIP/Politecnico di Milano. Ha scritto diversi libri, tra cui Uno spirito puro. Ennio De Giorgi, genio della matematica (Milella 2015, Springer 2019) e Viaggio all’interno di un buco nero (StreetLib, 2019). È stato curatore di La nascita imperfetta delle cose (Rizzoli 2016) di Guido Tonelli, sulla scoperta del Bosone di Higgs; La musica nascosta dell’universo (Einaudi 2018) di Adalberto Giazotto, sulla scoperta delle onde gravitazionali ; Benvenuti nell'Antropocene (Mondadori, 2005) del premio Nobel Paul Crutzen, padre del termine "antropocene" .

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