La sorella della Mole

Siamo saliti, con caschetto e imbrago, in cima a una delle più ardite costruzioni in mattoni: la cupola di San Gaudenzio a Novara, audace “sorella” della Mole Antonelliana di Torino.

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La sorella della Mole

Siamo saliti, con caschetto e imbrago, in cima a una delle più ardite costruzioni in mattoni: la cupola di San Gaudenzio a Novara, audace “sorella” della Mole Antonelliana di Torino.

La sua vista si impone a chiunque attraversi la Pianura Padana nei pressi di Novara, stagliandosi nel paesaggio al pari del Monviso e del Monte Rosa. È la cupola della basilica di San Gaudenzio, audace costruzione in mattoni, che con i suoi 122 metri di altezza surclassa gli altri edifici del capoluogo piemontese compreso il campanile della stessa chiesa. Siamo saliti in cima a questo monumento tutto da scoprire con attrezzatura da alpinisti, per capire che cosa lo rende così straordinario (spoiler, il genio di Alessandro Antonelli che lo costruì).

Chiesa incompiuta

La visita comincia dalla basilica da cui prende il nome, che in realtà è molto più antica e ha una storia lunga e travagliata. «In origine era in un’altra posizione, all’estremità occidentale della città, oltre la barriera albertina dove oggi si chiude Corso Italia», spiega Roberto Tognetti, architetto e coordinatore del progetto Piemonte Antonelliano. «Verso le metà del ‘500 gli spagnoli di Carlo V cambiarono la struttura della città potenziando il suo ruolo di piazzaforte militare. Vennero così distrutte tutte le costruzioni esistenti al di fuori della cinta muraria, compresa la basilica. E si decise di costruire una nuova basilica dentro le mura». L’opera venne affidata a Pellegrino Pellegrini detto il Tibaldi, architetto di Milano che però non riuscì a completarla. Come accadde anche a Santa Maria del Fiore a Firenze, che inizialmente rimase senza cupola, così anche San Gaudenzio fu coperta all’epoca con un tetto provvisorio. «Nel ‘700 fu costruito il campanile e poi, finalmente, nell’800 arrivò Alessandro Antonelli (1798-1888)», racconta Tognetti. «In quel periodo, però, la fabbrica lapidea che gestiva la costruzione era in difficoltà economiche. Antonelli riuscì a sedurre i committenti promettendo di realizzare un progetto a basso costo, risparmiando sui materiali».

Esterno
Facciata e cupola della chiesa di San Gaudenzio (Foto A. Parlangeli).

Dall’interno

I novaresi sanno a memoria dove si trova la chiesa, ma per chi viene da fuori non è immediato raggiungerla. Se infatti la cupola si riconosce benissimo da lontano, nei meandri del centro cittadino è quasi impossibile vederla. E anche quando si arriva ai suoi piedi, si è troppo vicini per apprezzarne lo sviluppo verticale. Per ammirarla da vicino bisogna entrarci; ma non prima di aver visitato la chiesa su cui è costruita. La guida precisa subito che non è la cattedrale (titolo che spetta alla chiesa di Santa Maria Assunta, anch’essa rivista da Antonelli) e che è stata interamente finanziata dai novaresi. All’interno, sulla sinistra, balza all’occhio la statua del Cristo Salvatore laminata in oro, originale della copia che oggi svetta nel punto più alto a guardia della città. La statua è a ridosso di una colonna e ha lo sguardo puntato sull’altare, avvicinandosi al quale si viene come risucchiati dalla voragine che si apre verso l’alto: è la cupola che si dispiega in negativo, e che da qui si può ammirare dall’interno in tutta la sua gloria se non fosse per un telo semitrasparente che serve a trattenere il calore nei mesi invernali.

Interno San Gaudenzio
L’interno della chiesa. A sinistra, la statua del Cristo Salvatore (Foto A. Parlangeli).

Doppia rampa

Per salire, bisogna però uscire dalla chiesa e rientrare dal campanile adiacente, costruito da Benedetto Alfieri (1699-1767). La guida ci avvisa che c’è vento, e non è sicuro che potremo raggiungere il punto più alto consentito alle visite, cioè i cento metri di altezza. Intanto ci prepariamo. Mettiamo i nostri cellulari all’interno di tasche trasparenti in plastica da appendere al collo: è la ragione per cui le foto scattate da questo momento in poi non sono molto nitide, e alcune risultano inutilizzabili. Quando ci viene dato il via, la nostra guida, Paola, apre la strada e ci spiega che le scale sono disposte in una doppia rampa, per fare in modo che chi sale non si incroci con chi scende. Poi prosegue in silenzio con passo sicuro. Sono dietro di lei e la seguo tenendola a vista. Inizialmente reggo bene il ritmo, ma presto mi ritrovo a debito di fiato. Conto di recuperare all’arrivo, a ogni passo mi ripeto che dovrebbe mancare poco. Però la salita prosegue più a lungo del previsto e lei fugge in avanti come una lepre. Cerco di controllare il respiro, spingo, sento il cuore che batte come se andasse per conto suo. E, proprio nel momento in cui sto per mollare l’inseguimento, arriviamo. Paola è fresca come una rosa; si mette in posizione di attesa. Raccolgo il fiato e sospiro: “Però, tira”. “Sono trecento scalini”, risponde rilassata. “Sei bene allenata”, ribatto. “Sono una maratoneta”.

Interno Cupola
La cupola vista dall’interno della chiesa. Gli spazi sono separati da un telo semitrasparente, che serve a trattenere il calore d’inverno (Foto A. Parlangeli).

Compasso gigante

Quando arrivano anche gli altri, percorriamo un corridoio che congiunge il campanile alla base della cupola e raggiungiamo la Sala del compasso. Si chiama così perché qui è conservato l’enorme compasso ligneo originale, utilizzato da Antonelli per disegnare in scala 1:1 ogni parte della cupola. È veramente imponente, sarà lungo più di dieci metri. Paola dice che è il più grande del mondo e ci spiega la lunga e laboriosa costruzione della cupola, che è durata più di quarant’anni. Scopro, così, che quel genio di Antonelli era anche un grande imbroglione, diciamo uno “stratega”. E la prova è davanti ai miei occhi.

Stratagemmi

Siamo all’altezza del tetto della chiesa, a 24 metri dal suolo, dove comincia la cupola. Ho di fronte gli arconi in mattoni che reggono la struttura. Sono veramente imponenti. «La cosa straordinaria è che Antonelli, nel momento in cui avviò i lavori, per prima cosa potenziò e raddoppiò gli arconi», spiega Tognetti. «Perché quelli che c’erano sulla vecchia basilica erano assolutamente insufficienti a reggere il peso della cupola che aveva in mente». E qui arriva lo stratagemma. Perché il primo progetto dell’opera, quello che l’architetto nato a Ghemme aveva venduto alla fabbrica lapidea come “economico”, era in perfetto stile classico e prevedeva solo un giro di colonne e la cupola: l’edificio sarebbe stato molto più basso e leggero di quello attuale. Ma i lavori durarono a lungo, anche per i costi, e il progetto cambiò più volte. Per Antonelli, ogni occasione era buona per rilanciare verso l’alto. «Fin dall’inizio non costruì un arcone proporzionato al primo progetto che aveva presentato nel 1841», enfatizza Tognetti. «Ne fece invece uno combinato in una doppia centinatura, proporzionato per reggere il “missile” che aveva in testa e che non aveva ancora svelato ai suoi committenti. Perché Antonelli aveva nella spinta verticale, qualcuno l’ha definita “spinta gotica”, la sua dimensione più profonda di costruttore. Ed è straordinario che raggiunse esiti costruttivi paragonabili a quelli del quasi coevo Gustave Eiffel (1832-1923) in Francia, considerando però che Eiffel operava in una delle nazioni più avanzate del mondo sul piano industriale e usava le tecniche costruttive più moderne basate sull’uso dei metalli, mentre Antonelli si basava su un cantiere di impostazione medievale, che era ancora quello della muratura e dei mastri artigiani. Ciò nonostante tra i due sistemi, oltre alle differenze ci sono anche importanti analogie. Due tra tutte: la presenza di un “telaio strutturale”, realizzato con le rispettive tecnologie (metallo e pietra) e la tensione alla verticalità attraverso la leggerezza, cioè l’ottimizzazione del disegno e dei materiali».

Un guscio sottilissimo

La meraviglia cresce a mano a mano che proseguiamo nella nostra salita. Abbiamo già indossato caschetto e imbrago, e avanziamo seguendo un percorso che costeggia prima il profilo interno della cupola, poi quello esterno, poi di nuovo l’interno. È tutto un gioco di archi, volte e contrafforti, che si dispiega tra la cupola esterna e un’altra cupola, più interna, a forma di cono, che fa da supporto. il fatto più straordinario è che – è subito evidente – su una cosa Antonelli non aveva barato: per ottimizzare il peso e i costi, aveva reso la struttura leggera fino all’inverosimile. La cupola esterna è infatti sottilissima. Vengono i brividi al solo pensiero che basterebbe un colpo abbastanza forte con il braccio per aprire una breccia e magari farla crollare. Lo spessore è di appena uno strato di mattoni: «Si definisce “mattone a una testa”», spiega Tognetti. «Si tratta cioè di un mattone accostato all’altro e collegato con la malta. La resistenza viene garantita dalle nervature e dalla doppia struttura, quella conica interna e quella monumentale in forma di peristili di colonne sovrapposte fino all’emisfero finale. In questo modo Antonelli costruì una forma che esprimeva il massimo rapporto tra peso e resistenza».

Rinforzi pericolosi

La costruzione era talmente audace per l’epoca che per decenni i cittadini temettero che la cupola potesse crollare. E si tentò perfino di aggiungere alcuni rinforzi in cemento armato, che per fortuna furono fatti ma ridotti al minimo: avrebbero appesantito inutilmente una struttura che, come la storia ha dimostrato, resiste tutt’ora.

L’esempio del Bramante

Per comprendere bene la portata di quest’opera assolutamente straordinaria, e molto sottovalutata anche dal punto di vista turistico, può essere utile procedere per confronto. «Il primo progetto, con un giro di colonne e una cupola, si ispira al Rinascimento e in particolare a Donato Bramante (1444-1514)», spiega Tognetti. «È il modello classico di cupola perfetta, che si ritrova per esempio nella chiesa di Saint Paul a Londra e in quella di Sainte Geneviève (Pantheon) a Parigi». Stilisticamente la cupola di San Gaudenzio è molto simile a queste, ma è molto più slanciata verso l’alto.

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La salita attrezzata, nella parte alta del percorso (Foto Kalatà).

Il record della Mole

D’altra parte, la spinta verso l’alto la accomuna alla Mole di Torino dello stesso Antonelli, che – quando fu completata nel 1889 – con i suoi 167 metri di altezza divenne l’edificio in muratura più alto del mondo. «Entrambi i monumenti sono punti di riferimento per le città in cui si trovano, e ne marcano il paesaggio», commenta Tognetti. «Da parte di Antonelli c’è sempre una grande capacità di leggere il territorio. La Mole, per esempio, nacque come tempio istraelitico che doveva essere costruito su una grande aula con una serie di edifici collegati (ma non divenne mai sinagoga perché, per i costi elevati di costruzione, la comunità ebraica la vendette al comune di Torino prima che fosse completata). Quindi la forma di partenza era un cubo. Antonelli la inserì nella maglia quadrata della città, che è una struttura urbanistica di derivazione romana. E costruì una serie di cubi sovrapposti, su cui poggia il padiglione curvo sormontato a sua volta da un colonnato soprannominato “tempietto sospeso”, che ricorda la “gabbia per grilli” dell’analogo colonnato incompiuto del duomo di Firenze».

Cantiere interminabile

Entrambi i cantieri, quello di Torino e quello di Novara, durarono a lungo. «Il cantiere di San Gaudenzio, in particolare, fu tutto uno stop and go tra guerre di indipendenza, causa di forza maggiore, finanziamenti che finivano, contrasti con il committente, incomprensioni», racconta Tognetti. Durò 44 anni, però alla fine fu rispettato il disegno di Antonelli.

Con e senza impalcature

Parlando di cupole audaci, non può sfuggire il confronto con quella di Filippo Brunelleschi (1377-1446), costruita sul duomo di Firenze. «Sul piano dell’audacia siamo agli stessi livelli», argomenta Tognetti. «Dal punto di vista costruttivo, un’analogia è costituita dal doppio strato di cui sono costituite. Nel caso della cupola del Brunelleschi, però, i due strati sono esattamente paralleli, come se avessero un distanziatore. Nel caso della cupola di Antonelli, invece, lo strato interno è a forma di cono e quello esterno a forma di calotta. Un’altra analogia è costituita dalle nervature usate da Antonelli, che hanno la stessa funzione dei costoloni in marmo di Brunelleschi». E le differenze? «Per cominciare, la cupola del Brunelleschi doveva essere autoportante, mentre a San Gaudenzio furono usate le impalcature», risponde Tognetti. «L’altra grande differenza è la verticalità. La cupola del Brunelleschi è slanciata verso l’alto per ragioni strutturali, altrimenti non sarebbe stata in piedi; ma l’architetto aveva in mente di realizzare un emisfero perfetto, perché nell’Umanesimo e nel Rinascimento la semisfera rappresentava la perfezione. Per Antonelli, come per Eiffel, invece, la verticalità è l’elemento dominante».

La vista dall'alto, quota 100 metri. In lontananza, si vedono i grattacieli di Milano e la Madonnina in cima al duomo.
La vista dall’alto, quota 100 metri. In lontananza, si vedono i grattacieli di Milano e la Madonnina in cima al duomo.

Vista con Madonnina

Siamo arrivati a cento metri di altezza. Proseguendo lentamente, la fatica non si sente nemmeno. Si pensa a guardare il panorama, a muoversi nelle architetture, a leggere i messaggi lasciati sulle pareti dai visitatori di tutte le generazioni che si sono susseguite. Il tratto finale si percorre agganciati con un moschettone a una corda fissa, precauzione che rende il tutto più eroico ma che appare perfino esagerata. Quando si arriva in cima, si notano un paio di scale a pioli che portano ancora più in alto, ma l’accesso è proibito e lì ci vuole davvero coraggio ad andare. Ci limitiamo ad affacciarci sulla balconata più alta e a guardare. Il vento è andato via e l’aria è limpida. Si vedono ancora una volta il Monviso, il Monte Rosa e, da qui, anche Milano con i suoi grattacieli e la madonnina in cima al duomo, che con i suoi 108,5 metri di altezza era all’epoca il punto più alto del capoluogo meneghino. Il Cristo Salvatore di Antonelli fu il primo, e per quasi un secolo anche l’unico, a guardarla dall’alto in basso.

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