Sull’origine del Covid

Continua il dibattito su dove sia avvenuto lo spillover, e su come la pandemia si sia poi sviluppata in Cina, in Europa, e in Italia.

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Sull’origine del Covid

Continua il dibattito su dove sia avvenuto lo spillover, e su come la pandemia si sia poi sviluppata in Cina, in Europa, e in Italia.

Si riaccende il dibattito sull’origine della pandemia di Covid-19.

L’origine in Cina

Secondo un rapporto pubblicato nel marzo 2021 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e dalla Cina, il primo caso noto di contagio da SARS-Cov-2 riguarda un contabile di nome Chen che non era stato al mercato di Wuhan e che aveva sviluppato i sintomi l’8 dicembre 2019.

Secondo uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Science, invece, il primo caso documentato è quello di una donna di nome Wei Guixian, venditrice al mercato degli animali, che ha riportato i sintomi l’11 dicembre (mentre il signor Chen li avrebbe in realtà sviluppati il 16 dicembre). A sostenere questa tesi è Michael Worobey dell’Università dell’Arizona, uno dei massimi esperti del settore. Worobey è convinto che l’epidemia sia nata nel mercato Huanan di Wuhan: «In questa città di 11 milioni di persone, metà dei primi casi sono legati a un luogo che ha le dimensioni di un campo da calcio», ha affermato. «È molto difficile spiegare questo fatto se non ammettendo che la pandemia sia iniziata lì». Lo studio mette in evidenza diverse incongruenze nel rapporto dell’Oms. Ma la questione resta aperta, anche perché i dati disponibili non sembrano sufficienti a dirimerla. L’unica certezza è che il mercato del pesce di Wuhan è stato un luogo di superdiffusione, probabilmente il primo.

L’origine in Europa

Un altro studio, basato su modelli matematici e pubblicato sulla rivista Nature a fine ottobre, cerca di fare luce, invece, sull’origine della pandemia in Europa e negli Stati Uniti. In questo caso, la trasmissione potrebbe essere iniziata in modo consolidato già nel gennaio 2020 in alcune aree. Come sappiamo, la diffusione è poi avvenuta sottotraccia, a causa della limitata capacità di identificare e testare i casi sospetti: si stima che all’inizio di marzo sia stato rilevato solo l’1-3% circa delle infezioni. Più precisamente, circa 9 infezioni su mille sarebbero state rilevate negli Stati Uniti e 35 su mille in Europa. È probabile che la trasmissione sia iniziata verso la fine di gennaio in California e all’inizio di febbraio nello Stato di New York; e forse fino a due settimane prima in Italia (non si può escludere di arrivare fino a dicembre 2019, ma la probabilità è molto piccola).

L’origine in Italia

Questi risultati sono coerenti con un altro studio, preliminare, effettuato su 800 donatori di sangue del Policlinico di Milano tra il 24 febbraio e l’8 aprile 2020. In questo caso era stato osservato che, nell’ultima settimana di febbraio, il 4,6% dei donatori ­– cioè 1 su 20 – aveva già sviluppato anticorpi contro il nuovo coronavirus. A inizio aprile, si era passati al 7,1%, e a fasce di età più elevate.

Prima tra i giovani, poi la tragedia

In questo caso, il campione esaminato era significativo, ma costituito da soggetti particolarmente sani (non solo asintomatici, ma insospettabili) di età compresa tra 18 e 65 anni. Dunque il virus, in Italia, nelle prime fasi si è diffuso quasi del tutto sottotraccia, inizialmente soprattutto tra i giovani. Quando sono stati identificati i primi casi, già migliaia di persone erano state contagiate. Molte erano asintomatiche o presentavano sintomi lievi. Poi, però, il virus ha raggiunto le fasce più deboli della popolazione e gli ospedali, e le cose sono andate come purtroppo sappiamo.

 

Link e approfondimenti

• Il recente articolo di Science sull’origine della pandemia in Cina (in inglese).
L’articolo del New York Times che ha ripreso la notizia.
• Il rapporto dell’Oms del marzo 2021.
L’articolo di Nature sull’origine della pandemia in Europa e negli Usa, di un gruppo guidato dall’italiano Alessandro Vespignani della Northeastern University di Boston (Usa). Vi hanno contributo la Fondazione ISI di Torino e la Fondazione Bruno Kessler di Trento.
Lo studio, senza peer review, sui donatori di sangue condotto da Daniele Prati e Luca Valenti del Policlinico di Milano, in collaborazione con l’Ospedale Luigi Sacco, l’Istituto Europeo di Oncologia e l’Università degli Studi di Milano. E un articolo di Focus.it sull’argomento.

 

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