Il fascino del pensiero “circolare”

Da Narciso al digitale: un viaggio prezioso, ma pieno di trappole logiche e paradossi, nell’abisso delll'autoreferenzialità.

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Il fascino del pensiero “circolare”

Da Narciso al digitale: un viaggio prezioso, ma pieno di trappole logiche e paradossi, nell’abisso delll'autoreferenzialità.

Tutti conoscono la storia di Narciso, il giovane semidio della mitologia greca che, per punizione divina, s’innamorò della sua stessa immagine riflessa in un lago e morì cadendo nell’acqua in cui si specchiava. Questo mito è emblematico anche del modo in cui per secoli il pensiero occidentale ha bandito l’autoreferenzialità che dà origine a paradossi logici quali quello di Epimenide, citato da San Paolo nell’Epistola a Tito: “Un […] loro profeta ha detto: «I Cretesi sono sempre bugiardi, brutte bestie e fannulloni». Questa testimonianza è vera”. Oppure ancora l’autoreferenzialità che si manifesta in descrizioni come quella di Jules Antoine Richard (1905) del numero più piccolo che non si può descrivere con meno di tredici parole (che viene così descritto con dodici parole).

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Narciso e il suo riflesso, nello stesso quadro.

C’era una volta un re…

Vi sono però anche circolarità preziosissime, se non indispensabili, anzi virtuose, come una grammatica italiana scritta in italiano. A ben vedere, nemmeno i circoli viziosi sono sempre privi di significato. Si pensi all’autoironia di aforismi come questo dello sceneggiatore Dino Verde: “Le persone si dividono in due categorie. I geni e coloro che dicono di esserlo. Io sono un genio.” Oppure alla filastrocca (non priva di divertimento, e quindi di senso): “C’era una volta un re, seduto sul sofà, che disse al suo giullare, raccontami una storia. E questo incominciò: C’era una volta un re…”.  Giocando sul filo del rasoio del non-sense, le circolarità ci permettono di innescare un regresso all’infinito di meta-livelli che non è necessariamente fallace.

Coscienza antica

A ben guardare, la cifra stessa della coscienza è la circolarità. I due uccelli identici che compaiono sia nel Ṛg Veda (Mandala I.164.20) sia nel Muṇḍaka Upaniṣad (III.1.1), l’uno intento a mangiare, l’altro a guardare il compagno che mangia, sono una metafora antica del Sé che è cosciente del Sé.

द्वा सुपर्णा सयुजा सखाया समानं वृक्षं परिषस्वजाते
तयोरन्यः पिप्पलं स्वाद्वत्त्यनश्नन्नन्यो अभिचाकशीति

dvā suparṇā sayujā sakhāyā samānaṃ vṛkṣaṃ pariṣasvajāte
tayoranyaḥ pippalaṃ svādvattyanaśnannanyo abhicākaśīti

[due aquile (dvā suparṇā), simili (sayujā), insieme (sakhāyā), abbracciate allo stesso albero, una delle due (tayoanyaḥ) mangia (atti) i frutti dolci (pippalaṃ svādu), l’altra non mangia (anyaḥ anaśnan) ma supervisiona]

Conosci te stesso

L’apoftegma sul frontone del tempio di Delfi raccomandava un analogo sforzo di autocoscienza:

γνῶϑι σεαυτόν

[conosci te stesso]

La filosofia è piena zeppa di circolarità virtuose. Con il suo “Cogito ergo sum”, Cartesio pose le fondamenta del suo sistema al riparo di ogni dubbio, su una circolarità: non si può dubitare di qualcosa senza esserne consapevoli.

Sale nelle sale

Molte opere d’arte sono capolavori anche perché sono riflessioni sull’arte stessa. In primo luogo il cinema, che è ormai quasi obbligato a essere contemporaneamente meta-cinema in dialogo con la propria storia e portatore di un’algebra di citazioni. Da Fellini a Tarantino, che a sua volta lo cita, si perde il conto dei film che hanno almeno una scena in teatro o in una sala.

Persino il film di spionaggio cinese 懸崖之上 Xuányá zhī shàng (“Sopra il precipizio”) di Zhang Yimou, che ha aperto a Udine il Far East Film Festival del 2021, giocava su un’analogia, meta-cinematogtafica: la finzione dell’agente infiltrato e quella dell’attore che lo sta recitando, entrambi camminano sul precipizio!

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La locandina del film cinese Xuányá zhī shàng (in inglese Cliff Walkers) di Zhang Yimou.

Gioco di specchi

Fu André Gide a riconoscere e a valorizzare l’espediente artistico della mise en abyme che consiste nel riflettere o richiamare all’interno di un’opera una sintesi dell’opera stessa. Il nome deriva dall’araldica, che indica così il procedimento di mettere entro un primo stemma un altro “en abyme”.

Gide nel Journal 1889-1939 si riferì alla scena di teatro nel teatro dell’Assassinio di Gonzago nell’Amleto, e alla lettura fatta a Roderick nel Crollo della casa Uscher di Edgar Allan Poe. Aggiungerei, rispetto a qual racconto, anche l’immagine della casa stessa riflessa nel laghetto della casa. Questo perché, per Gide, sono proprio gli specchi dei pittori di scuola fiamminga come Hans Memling e Quentin Metsys a offire una moltitudine di esempi di autoriflessione.

Al di qua della scena

Non vi è dubbio, però, che l’apoteosi della circolarità si raggiunga con il quadro Las Meninas, ovvero Le damigelle d’onore (1656), di Diego Velázquez. Soprattutto dopo le pagine memorabili che gli sono state dedicate dal filosofo francese Michel Foucault (1926-1984), non vi è dubbio che questo quadro rappresenti la rappresentazione stessa. Las Meninas incrocia una pluralità di discorsi sulla circolarità, perché è un quadro che ritrae chi sta facendo il quadro. Ma chi sta ritraendo chi è ritratto mentre ritrae? I sovrani che guardano la scena riflessi nello specchio sulla parete in fondo? Non siamo forse noi nella loro posizione? Sì, siamo noi gli spettatori-visitatori del Museo del Prado, che ci troviamo dall’altra parte della tela, ad essere ritratti. Siamo noi illuminati dalla luce che proviene da destra. Lo specchio de Las Meninas riflette ciò che c’è fuori dalla superficie pittorica anzi ciò che c’è al di qua.

Las Meninas di Diego Velázquez
Las Meninas di Diego Velázquez (1656), conservato al Prado di Madrid.

Tanti esempi

Molti concetti e fenomeni mentali sono inaspettatamente circolari. La giustizia è tale se è giustizia per tutti. Abbiamo imparato nella pandemia che un importante determinante di salute è la salute degli altri. La conoscenza comune è tale solo se è riconosciuta da tutti come conoscenza comune. Discuteremo più avanti sotto forma di un esercizio il paradosso di Conway, che mostra come la nostra consapevolezza del mondo è implicitamente circolare. Quando seguiamo la regola convenzionale di dare la precedenza a destra, non solo mettiamo in pratica tale regola, ma nel metterla assumiamo che questa stessa convenzione sia adottata anche dagli altri. Una convenzione deve quindi presupporre sé stessa per affermarsi come tale.

I prezzi, la moda, le calunnie, sono ormai indiscutibilmente riconosciuti come fenomeni che si autoconfermano. Che cos’è la filosofia della mente se non pensare a un cervello che incarna una mente che pensa un cervello…? E quante volte, infine, abbiamo sostenuto che compito di un insegnante è insegnare agli studenti come imparare a imparare!

Un pianeta da salvare

Anche l’attuale disperata ricerca della sostenibilità non è altro che la conseguenza di una drammatica auto-coscienza, quella della nostra indelebile impronta sul pianeta che, nell’economia circolare, cerca di ritrovare un equilibrio.

Nel mondo digitale

Avendo passato buona parte della mia vita a quell’incrocio tra matematica, logica e informatica, posso azzardare che, forse, questo innamoramento della contemporaneità per chiavi di lettura circolari, sprezzante della paura del paradosso, nasce proprio dal digitale.

Tutto è numero

Il digitale è infatti quel medium omogeneo a cui è possibile ridurre tutto, che ci permette di trattare nei nostri social network alla stessa stregua testo, immagini, suoni, animazioni perché tutto è numero, perché ogni operazione di creazione, trasmissione, manipolazione è riducibile ad una manipolazione di cifre. Ma gli stessi algoritmi che manipolano queste cifre altro non sono che cifre essi stessi. La macchina universale di Turing simula tutte le altre macchine di Turing, anche sé stessa. Gli interpreti e i compilatori dei linguaggi di programmazione possono essere scritti nel linguaggio stesso che devono eseguire o tradurre. Riuscite a immaginare una circolarità più virtuosa?

Mostruosità logiche

Eppure la matematica di un secolo fa avrebbe considerato l’insieme di tutte le cose alle quali ho pensato oggi come una teratologia, una mostruosità. Per escludere le appartenenze circolari e le catene infinitamente profonde di appartenenze, Dmitry Mirimanoff nel 1917 introdusse l’Assioma di Fondazione, per cui ogni insieme deve possedere un elemento da cui è disgiunto. Da allora, fino a quando all’Università di Pisa Marco Forti e il sottoscritto, nel 1982, stimolati dal matematico Ennio De Giorgi introdussero un Assioma di Antifondazione, gli insiemi furono fondati sul vuoto e mai su circolarità e regressi.

Come un abisso

Si narra però che lo stesso Georg Cantor, che inventò gli insiemi nell’800, in un’occasione espresse così la sua intuizione: “Mi rappresento un insieme come un abisso” (Eine Menge stelle ich mir vor wie einen Abgrund).

Oggi gli insiemi non ben-fondati sono usati frequentemente per rappresentare processi concorrenti in informatica, appunto.

Magritte
La riproduzione vietata, di René Magritte (1937).

Definizionioni ricorsive

In matematica la mise en abyme è la ricorsione, ovvero la definizione implicita. Quella definizione che descrive qualcosa in termini di sé stessa. La ricorsione è quel concetto che in un dizionario di matematica sarebbe spiegato così:

Definizione ricorsione: vedi “ricorsione”

La sua forza deriva dal fatto che le definizioni implicite sono molto più facili da dare di quelle esplicite (si veda il problemino 2 più sotto). A volte conviene leggere le equazioni stesse come definizioni implicite, e le loro soluzioni come punti fissi di una trasformazione. Certamente necessitano di un teorema di punto fisso che garantisca che si stia definendo qualcosa. Ma andando più sul concreto, armati di queste considerazioni, propongo per concludere i seguenti problemini su punti fissi, definizioni implicite e circolarità.

6 Problemi

  1. Un monaco una mattina partì verso la cappella in cima alla montagna. Lungo la strada si fermò più volte a contemplare il panorama e a riposarsi. Giunse alla cappella la sera. Passò la notte lassù e la mattina dopo al sorgere del sole incominciò a ripercorrere la strada dell’andata, per ritornare al monastero la sera. Anche in discesa l’andatura fu molto irregolare. C’è un punto del percorso nel quale il monaco si trovò alla stessa ora del giorno sia all’andata sia al ritorno?
  2. Qual è la probabilita che tirando una moneta ripetutamente compaia per la prima volta testa dopo un numero pari di lanci?
  3. Quanto vale la frazione continua 1+1/(1+1/(1+1/(1+…)))?
  4. Quanto vale la radice infinita ideata dal matematico indiano Srinivasa Ramanujan?
    \displaystyle \sqrt{1+2\sqrt{1+3\sqrt{1+4\sqrt{1+5\sqrt{1+6\sqrt{\cdots}}}}}}
  5. Considerate le seguenti tre frasi:
    1. Questo articolo compare sulla rivista online Josway.
    2. I circoli viziosi sono tutti virtuosi.
    3. Due di queste tre proposizioni sono false.

La prima è certamente vera. Se la terza fosse vera sarebbe falsa quindi è certamente falsa. Quindi la seconda non può essere che vera.

È questa una dimostrazione accettabile della frase “I circoli viziosi sono tutti virtuosi”?

  1. Ci sono due scienziati in una stanza. Ognuno sa di avere vinto il premio Nobel, ma nessuno dei due sa che l’altro lo sa. Se chiediamo loro: “Sapete se il vostro collega ha vinto il Nobel?”. Non sapranno rispondere, per quante volte glielo si possa ripetere. Ma appena rendiamo noto pubblicamente ad entrambi qualcosa che entrambi sanno già, ovvero il fatto che almeno uno dei due ha vinto il premio Nobel, se adesso ripetiamo due volte la domanda (sempre pubblicamente): “Sapete se il vostro collega ha vinto il Nobel?”, la seconda volta entrambi risponderanno di sì. Come si risolve questo apparente paradosso, attribuito al matematico John Horton Conway?

Le risposte

  1. Immaginate che due monaci (o un monaco e il suo Doppelgänger) partano la stessa mattina uno dal monastero verso la cappella, l’altro dalla cappella in cima la montagna verso il monastero. Se percorrono la stessa strada, prima o poi devono incrociarsi.
  2. La probabilità Ppari, che “testa” esca dopo un numero pari di lanci è data da ½ Pdispari, ovvero che non sia uscita “testa” al primo lancio per la probabilità che esca “testa” dopo un numero dispari di lanci. Ma Pdispari= 1 – Ppari. Quindi Ppari = ½  (1 – Ppari) ovvero Ppari =1/3.
  3. Se questa espressione ha un valore, deve soddisfare l’equazione x=1+1/x ovvero x=(1+√5)/2.
  4. Lo stesso trucco del problema precedente non è sufficiente. Ma notando che (x+1)²=1+x(x+2) si ha che 32= 1 + 2(2+2), 42 = 1 + 3(3+2) e così via… si trova che l’espressione vale dunque 3. Questo è il Quesito 289 apparso nella rubrica dei problemini del Journal of Indian Mathematical Society, 3, 90 (1911). Poiché dopo alcuni mesi nessuno mandò la risposta, Ramanujam pubblicò la sua soluzione sul numero 4 del 1912, a p.226.
  5. No. Abbiamo solo verificato che se la seconda frase è vera le frasi sono compatibili. Se la seconda frase è falsa allora le tre frasi non sono compatibili.
  6. Dopo aver condiviso la conoscenza che almeno uno ha vinto, e che entrambi sanno che l’altro sa e così via… entrambi comprendono che se l’altro tace alla prima domanda deve aver vinto anche lui il premio. Questo paradosso, lungi dall’essere una fallacia, illustra invece come la conoscenza condivisa è altra cosa rispetto alla semplice conoscenza, perché è autoreferenziale, insomma circolare.
Furio Honsell
Furio Honsell
Furio Honsell è docente di Teoria degli Automi all’Università di Udine. Ha pubblicato oltre un centinaio di articoli scientifici sui fondamenti della matematica, la teoria dei tipi, la semantica dei linguaggi di programmazione, la dimostrazione formale e la certificazione formale del software, il lambda-calcolo, la teoria dei giochi, e la salute pubblica. Svolge inoltre un’intensa attività di promozione dell’alfabetizzazione matematica e della cultura del gioco come strumento di inclusione sociale. Attualmente cura la rubrica "Giochi Furiosi" sul supplemento Enigmistica del Sole 24 Ore. Ha pubblicato alcuni libri di giochi matematici (L’algoritmo del Parcheggio, Mondadori 2007). Ha collaborato con la trasmissione "Che tempo che fa" di Fabio Fazio dal 2003 al 2006. Dal 2011 al 2018 è stato Presidente di GIONA, l’associazione nazionale dei comuni italiani che promuovono il gioco.

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