Il trasloco di Stonehenge

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Il trasloco di Stonehenge

Il famoso complesso megalitico di Stonehenge non fu l’idea originale di una civiltà autoctona, ma un monumento di “seconda mano”, frutto del trasloco di un popolo venuto da lontano, che volle ricostruire il suo tempio nel nuovo territorio di residenza.

A 300 km di distanza

Location
Cartina con le posizioni di Waun Mawn e Stonhenge (M. Parker Pearson).

A lanciare questa ipotesi è lo studio diretto dell’archeologo britannico Michael Parker Pearson, apparso sulla rivista Antiquity. Proverebbe che almeno uno dei 93 monoliti presenti a Stonehenge, il numero 62, nel circolo più largo del complesso, chiamato Aubrey Holes, proviene da un altro tempio megalitico, distante 300 chilometri. Si tratta di Waun Mawn, nel Pembrokeshire del Galles, sorto nel 3400 a.C., 400 anni prima di Stonehenge.

La buca in cui era alloggiata a Waun Mawn la pietra numero 62 sembra infatti combaciare perfettamente con la sua base (a Stonehenge). Come gli altri blocchi di Waun Mawn, il numero 62 di Stonehenge, assieme al 44 e al 45, è costituito da una particolare pietra di origine vulcanica, la diabase punteggiata.

L’importanza del solstizio

Waun Mawn
Vista aerea del sito di Waun Mawn (A. Stanford).

Da alcuni anni Parker Pearson era su questa pista, da quando cioè aveva notato che non lontano da Waun Mawn c’erano cave di diabase punteggiata, mentre non vi era traccia della presenza naturale della stessa pietra nella regione in cui sorge Stonehenge, nonostante comparisse fra i suoi monoliti. Ora però, come dicono gli inglesi, c’è la “pistola fumante”, la prova che uno dei blocchi fu effettivamente traslocato da un  tempio più antico, distante 300 chilometri. Ma queste non sono le uniche corrispondenze. In origine il circolo degli Aubrey Holes era circondato da un fossato dal diametro di 110 metri. «Waun Mawn è l’unico monumento neolitico britannico con lo stesso diametro», fa notare Parker Pearson. «Inoltre a Waun Mawn, come a Stonehenge, durante il solstizio d’estate il sole proiettava i suoi raggi al centro del complesso, entrando dall’ingresso principale».

Perché lo fecero

Come mai allora questi antichi uomini dell’età del bronzo si presero la briga di trasportare una pietra di quasi due tonnellate per 300 chilometri dal Galles fino all’altopiano di Salisbury, dove sorge Stonehenge? «Si può davvero pensare a una migrazione di un popolo che si portò dietro una o più pietre sacre», risponde Pearson: «i tempi dell’abbandono del complesso megalitico di Waun Mawn coincidono con l’inizio di Stonehenge». Insomma, un popolo antico di cui non conosciamo il nome, abbandonata una “cattedrale” ne avrebbe costruita un’altra, nel luogo del trasferimento, portandosi dietro la pietra più cara.

Video con un’intervista a Michael Parker Pearson.

«La scoperta può confermare anche l’ipotesi che Stonehenge fosse in realtà il centro di una sorta di grande federazione tribale», commenta l’antropologo Cesare Poppi, docente alla Scuola universitaria professionale della Svizzera Italiana. «E cioè il gruppo residente in Galles potrebbe avere voluto partecipare assieme ad altri alla costruzione di Stonehenge nello Wiltshire (iniziata nel 3000 a.C) con un proprio contributo materiale e simbolico, posto che allora, come riflesso di una mentalità animista, le pietre “parlavano”, custodivano storie, portavano l’essenza del clan e dei propri antenati». Una ricostruzione del genere ha un modello nell’isola di Jersey, dove il complesso megalitico locale di Hougue Bie fu costruito con grandi pietre provenienti da varie parti dell’isola, trasportate da comunità diverse che cooperarono per uno stesso progetto. Osservazioni svolte in Madagascar, dove pure esisteva architettura megalitica, confermano che le pietre di un unico complesso venivano fornite e trasportate in modo rituale per molti chilometri dagli abitanti di villaggi diversi. «Stonehenge doveva essere la San Pietro dell’età del bronzo», aggiunge Poppi. «Il punto centrale di culto di una antica civiltà europea. Non come una sola unità politica, ma una serie di tribù, di lingue diverse, che si riconoscevano in una stessa religione e talvolta cooperavano fra loro».

Per saperne di più
• L’articolo di Michael Parker Pearson
• Il programma della BBC sulla scoperta

Franco Capone
Franco Capone
Franco Capone è un giornalista specializzato in antropologia, storia, etologia e paleontologia. Ha curato la comunicazione del Museo di Storia Naturale di Milano ed è stato inviato per la rivista "Natura Oggi" e vice caporedattore di "Focus". È stato sulle orme dei dinosauri in Brasile, poi in Tanzania con Donald Johanson, lo scopritore di Lucy, nella campagna segnata dal ritrovamento dell’Homo habilis OH62. Si è addentrato nel mondo dei cacciatori-raccoglitori (aborigeni, pigmei, hadzabe) e delle scimmie antropomorfe. È particolarmente orgoglioso delle sue interviste a uno scimpanzé e a un pappagallo cenerino.

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