L’italiano che conquistò il Congo, e ne fondò la capitale

La straordinaria storia dell’esploratore friulano Pietro Savorgnan di Brazzà. Fondò la capitale del Congo, che porta il suo nome (caso unico dopo il periodo coloniale). Perché lì è ancora ricordato con rispetto.

0
1136
Pietro Savorgnan di Brazzà nel 1890 circa.

A volte i nomi nascondono storie straordinarie, ed è certamente questo il caso di Brazzaville, la capitale del Congo, che oggi ha 1,7 milioni di abitanti. La città deve il suo nome all’esploratore italiano che la fondò, Pietro Savorgnan di Brazzà.

Nel XIX e nel XX secolo non è strano che città africane portino il nome di personaggi europei. La cosa eccezionale è che quelle città non vengano ribattezzate dopo l’indipendenza degli Stati in cui si trovano. Oggi pochi ricordano che l’attuale Kinshasa si chiamasse Léopoldville (in omaggio a Leopoldo II del Belgio) e che l’attuale Kisangani si chiamasse Stanleyville (nel ricordo dell’esploratore britannico Henry Morton Stanley). Brazzaville resta Brazzaville. Arriva col suo vecchio nome nel XXI secolo. I suoi abitanti continuano a trattare con rispetto la memoria di quel friulano – sognatore oltre che esploratore – morto senza tradire l’ideale dell’amicizia tra europei e africani.

Pietro Savorgnan di Brazzà (Castel Gandolfo, Roma, 1852 – Dakar, 1905) è un aristocratico friulano di una famiglia trasferitasi nello Stato Pontificio. Suo padre vuole avviarlo alla carriera militare e chiede una mano a un amico francese, l’ammiraglio Louis Raymond de Montaignac de Chauvance. Pietro è ancora un ragazzo quando viene ammesso nel 1868 tra gli allievi stranieri della scuola navale di Brest, in Bretagna.

Pierre_Savorgnan_de_Brazza_by_Félix_Nadar
Un altro ritratto dell’esploratore italiano (Gallica Digital Gallery).

Nel 1875 Louis Raymond de Montaignac è ministro della Marina e Pietro si vede affidare la sua prima importante missione in Africa: l’esplorazione del bacino dell’Ogooué, principale fiume del Gabon. Percorre 1.300 chilometri in condizioni estreme, facendo scoperte molto importanti per l’avvenire della presenza francese in questa parte del continente. Torna in Francia e ottiene immediatamente la naturalizzazione.

Parigi cerca di estendere la sua influenza verso il fiume Congo, considerato come un fondamentale asse delle comunicazioni in Africa. Pietro Brazzà, ora Pierre Brazza, viene coinvolto nell’esplorazione degli affluenti a nord di questo corso d’acqua. Il 27 dicembre 1879 va in Gabon con una missione patrocinata dal Quai d’Orsay. Viaggia, come al solito, con un medico e un esperto di scienze naturali. Porta con sé tanti oggetti da barattare con gli indigeni. Durante la fase iniziale di questa missione, apre una base a Franceville ed è praticamente il fondatore di questa città del Gabon. Arrivato al fiume Congo, prende contatto con Illoy I, Makoko di Mbé, re della popolazione bantu dei Teke, che accetta di mettersi sotto il protettorato francese. Durante questo viaggio fonda la città destinata a portare il suo nome: Brazzaville.

Brazzà vorrebbe lavorare per la scienza, la pace e la comprensione tra i popoli, ma le autorità da cui dipende hanno un solo obiettivo: sfruttare l’Africa per rafforzare Parigi

Ritornato in Gabon nel 1880, è protagonista di una nuova esplorazione, sempre con l’obiettivo di scoprire i migliori percorsi verso (e lungo) il fiume Congo. Bisogna anche trovare il sistema per aggirare i tratti di quest’ultimo in cui la navigazione è difficile o talvolta impossibile a causa delle rapide. Brazza torna a Parigi con al suo attivo l’importantissimo accordo col re dei Teke e con grandi risultati scientifici, come la scoperta delle fonti del fiume Ogooué.

In Francia e in Europa, i giornali si appassionano alle sue avventure. La corsa tra potenze europee, per espandere le rispettive aree d’influenza in Africa, è sempre più evidente negli ultimi due decenni dell’Ottocento. I governi sono preoccupati. Meglio cercare un’intesa per dividersi pacificamente la torta. Nel 1884-1885, la conferenza di Berlino cerca di mettere ordine nell’espansione coloniale. In Francia potenti interessi economici spingono verso uno sfruttamento sempre più intenso dei territori occupati.

Gli capita di comprare schiavi al solo scopo di liberarli

Dal canto suo, Pierre Brazza rifiuta di prestarsi ai progetti che non condivide. Va a vivere in Algeria e prepara un rapporto alle autorità di Parigi sugli sbagli insiti in una logica coloniale di totale sfruttamento, a cui si aggiungono legami opachi e clandestini tra amministrazione francese e imprese agricole e minerarie. Parigi ignora gli studi, le opinioni e i suggerimenti di Brazza. È però a lui che il governo deve fare appello nel 1905 per trovare un accordo con le popolazioni congolesi in rivolta contro la Francia.

Colpito dalla dissenteria, Brazza muore a Dakar durante il viaggio.

Il suo nome non ha mai smesso di ispirare rispetto tra le popolazioni africane

Il 16 settembre 1905, la notizia della morte di Brazza (avvenuta due giorni prima) suscita clamore tra la stampa e l’opinione pubblica francesi. Il principale quotidiano nazionale, Le Petit Parisien, pubblica in prima pagina sia la notizia della morte sia una biografia del grande esploratore franco-italiano. La stampa francese lo tratta come un eroe nazionale. Ma il “Rapporto Brazza” rimane insabbiato per molti anni.

Il necrologio di un altro quotidiano parigino, Le Petit Journal, sottolinea la diversità di Brazza rispetto alle brutalità commesse dal suo antagonista britannico Stanley. L’articolo dice infatti: “La costante preoccupazione di M. Savorgnan de Brazza di evitare qualsiasi conflitto con gli indigeni e il carattere scientifico delle sue esplorazioni, talvolta compiute con risorse molto limitate, gli assicurano un’incontestabile superiorità morale su Stanley”. Superiorità morale anche rispetto a quelle stesse autorità e a quegli interessi francesi che hanno utilizzato con spregiudicatezza il suo lavoro in Africa.

Alberto Toscano
Articolo tratto dal libro Gli italiani che hanno fatto la Francia (Baldini+Castoldi).

Alberto Toscano (Novara, 1948) è giornalista, saggista e politologo. È stato ricercatore dell’ISPI di Milano e redattore del settimanale Relazioni Internazionali. A Parigi, dove vive e collabora con i principali gruppi radiotelevisivi, i media lo hanno definito “il più francese dei giornalisti italiani”. Ex presidente dell’Associazione stampa estera in Francia e attuale presidente del Club de la presse européenne di Parigi, è membro dell’Unità di formazione e ricerca di italiano della Sorbona. È cavaliere dell’Ordine del merito sia della Repubblica francese sia della Repubblica italiana. 
Per Baldini+Castoldi, nel 2019 ha pubblicato anche Gino Bartali. Una bici contro il fascismo.